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D. In una frase, cosa lascia Borges alla storia della letteratura?

R. In una frase? Io la metterei al contrario: che cosa non lascia Borges alla storia della letteratura? Tutti noi che abbiamo, diciamo, una certa sensibilità letteraria, l’abbiamo appresa da Borges. Fino al 1944 (quando venne pubblicato Finzioni) era possibile scrivere con un certo candore e pressappochismo, con molta autoindulgenza… Borges ci ha insegnato un altro modo di scrivere. Scrittori argentini che prima di lui sono stati particolarmente apprezzati (Roberto J. Payrò, Manuel Galvez, Leonidas Barletta, Eduardo Mallea e tanti altri), ora, posti di fronte allo specchio di Borges, appaiono davvero meno che mediocri.

D. Quanto Borges è una magnifica fonte d’ispirazione per la letteratura argentina successiva e quanto, invece, è un padre ingombrante? In altre parole, Borges ha posto una sorta di ipoteca sulla letteratura argentina?

R. Posso parlare solo per me stesso e non so cosa pensano gli altri scrittori. Borges non solo non risulta un ostacolo per me, ma costituisce una costante fonte d’apprendimento. Lo leggo e lo rileggo di continuo e mi trovo sempre affascinato da qualcosa di nuovo. Però io – che mi considero sufficientemente assennato – non ho la pretesa di paragonarmi a Borges; e tuttavia lui resta lì dov’è, un punto di riferimento ineludibile. D’altra parte non vedo come un eccellente scrittore possa essere vissuto come opprimente, o iperesigente, o, secondo la terminologia psicanalitica, castrante per altri scrittori. Ricorrendo a un parallelismo popolare, sarebbe come se per colpa di Maradona non nascessero più buoni giocatori di calcio…
Credo che sia esattamente il contrario, proprio l’eccellenza di Borges deve servire da stimolo in modo che siamo più esigenti e rigorosi con noi stessi. Sarebbe stato molto triste, per esempio, se al posto di Borges ci fossimo dovuti rassegnare a mantenere come punto di riferimento alcuni dei mediocri narratori di cui ho parlato prima.

D. Che persona era Borges?

R. Un uomo molto intelligente e colto. Un uomo che poteva dissertare con totale padronanza tanto della Divina Commedia, quanto del tango o della letteratura “gauchesca”… Inoltre aveva una rapidità di pensiero e una capacità d’improvvisazione quando chiacchierava, che non ho mai trovato in altre persone. E, per aggiungerne un’altra, direi che Borges era un principe dell’ironia, capace del sarcasmo più terribile e, al contempo, della faccia più angelica.

D. Ricorda un aneddoto curioso della sua conoscenza con Borges?

R. Nella lontana epoca in cui ero un impiegato amministrativo di una compagnia industriale di Buenos Aires, vidi Borges che usciva da una fermata della metropolitana e, come spinto da un impulso istintivo, corsi verso di lui, lo salutai e gli recitai parti di alcune sue poesie… Tipico, in fondo, di un giovane entusiasta… La cosa divertente fu che quando gli recitai le prime strofe della sua poesia “El tango” (perché lo feci? Volevo convincere Borges che ero davvero un suo grande ammiratore?), beh, quando recitai quelle strofe (che sapevo, e continuo a sapere a memoria), Borges sorrise e mi disse: “Che voglia che hai di perdere tempo, a leggere queste sciocchezze…”. Che simpatico!

D. Nei suoi racconti vengono spesso citati luoghi precisi e riconoscibili di Buenos Aires. Qual è il suo rapporto con la città?

R. La mia relazione è di amore totale, visto che sono da sempre un “porteño”, un abitante della vecchia Buenos Aires. Qui nacqui nel 1942 e tutta la vita sono rimasto in questa città immensa che include tante città differenti: sensuale e brutta, splendida e sudicia, adorabile e irritante… La conosco piuttosto bene, sia nella quotidianità che nella sua storia. Mi piacciono le foto antiche, mi piace il tango, mi piace il calcio… In fondo credo di essere proprio un tipico porteño, ammesso che si possa dire una cosa del genere.


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