Il suo segreto – rivela – è quello di ricreare «sapori autentici, i soli capaci di donare gioia». La filosofia di Nadia, infatti, consiste nel tentativo di dare piacere ai suoi convitati, e una buona cucina ha il dovere – ci tiene a dire – di «risvegliare ciò che è sopito nei ricordi d’infanzia o della nostra giovinezza. Per far emergere l’anima delle persone bisogna aiutarle a ritrovare i sapori sepolti nella loro memoria...»
Nulla sembrava predestinare Nadia Cavaliere a diventare Nadia Santini, “la più grande cuoca del mondo”...
Nata da una famiglia di agricoltori della Val del Chiampo, nella provincia vicentina, Nadia si trasferisce con i suoi, ancora bambina, nella campagna di Piadena, in Lombardia, e poi a Milano dove frequenta la facoltà di Scienze Politiche, ed è proprio all’Università che inciampa nel suo principe azzurro, Antonio Santini, colui che, senza saperlo, come nelle belle favole, avrebbe fatto di Nadia una regina... ma, tra le pieghe sottili degli eventi, un dubbio si cela: forse fu proprio l’ignaro Antonio ad incappare in una donna speciale già predisposta a governare un suo regno... Fatto sta che il destino, galeotto, era lì pronto a intessere la sua tela...
Inizia così la “gustosa” avventura di Nadia le cui radici affondano nel lontano 1920, quando nonna Teresa e nonno Antonio Santini – che di mestiere faceva il traghettatore e, nel tempo libero, il pescatore – comprano, con i risparmi di una vita, una baracca sulle rive di un laghetto di Runate trasformandola in una modesta locanda di campagna. Nei giorni di festa i clienti arrivano numerosi per sedersi ai tavoli di “Vino e Pesce” dove si mangia pesce fritto pescato da nonno Antonio e cucinato da nonna Teresa, qualche semplice piatto della cucina locale e, soprattutto, si beve un robusto Lambrusco vinificato in casa...
Nel 1952 il figlio Giovanni sposa Bruna che affianca nonna Teresa in cucina; nel 1974, ventidue anni dopo, Nadia ed Antonio rinunciano entrambi alla laurea e decidono di sposarsi... Ma lasciamo che sia la stessa Nadia a raccontarci: «I genitori di Antonio, Bruna e Giovanni, volevano vendere tutto... erano stanchi e da soli non avrebbero potuto gestire il ristorante ancora per molto. Di comune accordo, Antonio ed io ritenemmo che sarebbe stato veramente un peccato gettare all’ortica tanta tradizione, il lavoro di ben due generazioni... Vendere il ristorante voleva dire rinunciare alle proprie radici... Avevamo compreso, peraltro, che il ristorante di Antonio avrebbe potuto diventare un punto di riferimento e di incontro nel panorama della ristorazione e della buona cucina. In quei giorni, di certo, non avrei mai immaginato di diventare una cuoca così importante; a quel tempo cucinavo solo per puro piacere... Mia madre, d’altro canto, aveva sempre fatto di tutto affinché le sue tre figlie sapessero cucinare per diventare delle mogli “ideali”... La nostra avventura cominciò così, con una “Dyane” e una tenda per un viaggio di nozze di 45 giorni in Francia: un viaggio di studi a sfondo gastronomico...».
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