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Salimmo il sentiero, attraversammo la strada che a sinistra porta a Yoff e a destra in centro a Dakar. Ci inoltrammo in una strada parzialmente asfaltata, con case sulla destra e sulla sinistra, donne che con i loro banchetti vendevano le proprie cose, banane, cocomeri, limoni, noci di cola, e altro …La mia “guida” ogni tanto si fermava a salutare qualche conoscente, a parlare. Il bello è che mi presentava ai suoi conoscenti, senza nemmeno quasi sapere il mio nome, ma comunque mi presentava come se fossi un suo amico di lunga data: come dire, il tempo è relativo.

Io, devo essere sincero, fin dall’inizio non avevo capito come si chiamasse (e tutt’ora non me lo ricordo), ma in quel momento nemmeno me ne importava, pensai che fosse un importuno come molti altri, ma con il trascorrere del tempo le cose cambiarono. Continuammo nella nostra passeggiata, nel quartiere di Ouakam, quartiere popolare di Dakar, alle spalle dell’aeroporto, le case erano basse, a non più di due piani, povere, nessuna che fosse completamente terminata, qua e là qualche baracca, tutto sommato il quartiere sembrava vivibile. Dopo un po’ Mamadu (chiamiamolo così), comprò due limoni e me ne offrì uno, che accettai con un pizzico di stupore e sorpresa…e forse per questo era ancora più buono: non sembrava, infatti, così acido. Dopo una mezz’ora di cammino (il sole era ormai già all’orizzonte e presto si sarebbe fatto buio), entrammo in un cortile-magazzino coperto, la cui entrata era molto angusta e stretta, seguita da un corridoio costituito da fogli di ondulux (quella plastica ondulata che fino a 20 anni fa veniva utilizzata in Italia per i tetti e le verande).

Entrati nella sala principale vidi una decina di ragazzi che montavano degli djambè, molti erano ancora in fase di lavorazione, qualcuno era già pronto. Erano molto belli, elaborati, dal bel suono secco, chiaro, deciso…Li vendevano, anche in Europa, avevano dei contatti in Francia, costavano circa 100 euro, che non è proprio poco, almeno per me in quel momento. Il gestore del tutto era un giovane, anche lui sulla ventina, ma asiatico, giallo, dagli occhi a mandorla. Lui e Mamadu si salutarono calorosamente, stringendosi la mano varie volte, in uno di quei saluti da giovani rappers neri americani, e chiedendosi a vicenda come andava. Immancabilmente Mamadu mi presentò al suo amico, che mi disse poi arrivare dalla Cambogia….pensai come è piccolo il mondo: in quella stanza della periferia di Dakar erano racchiusi tre continenti….ma non era per me la prima volta che la geografia diventava così piccola, la bellezza stava in quel momento particolare. Ci fermammo una mezz’ora, durante la quale mi venne proposto, naturalmente, di acquistare un djambè: ma per me erano troppo cari.

Dopo aver salutato tutti uscimmo: era ormai buio, ma tanta gente era ancora in giro. Non era tardi. Ci incamminammo, verso non so dove, per ancora una buona ventina di minuti. Poi arrivammo a casa di un suo amico, ma che, più che essere una casa vera e propria, era una stanza, con ingresso diretto sulla strada. L’interno era quasi completamente ricoperto da tappetini, da posters e foto di protettori della confraternita dei mouride, ed altre immagini. L’arredamento era costituito da un letto (con copriletto e lenzuola), un tavolino, una sedia, uno specchio e non molto di più.

Mi chiesi dove fossero le toilettes e la cucina o qualcosa del genere…Cominciammo a parlare, l’immancabile presentazione, da dove vengo, cosa faccio, ecc. ecc...Io chiesi al nostro ospite cosa facesse lui, se fosse di Dakar, ed altre cose. No, non era di Dakar, era di passaggio: di più non seppi. Dopo un po’ cominciò a preparare l’immancabile ataya, un tè molto forte importato dalla Cina e con una quantità incredibile di zucchero, che viene più e più volte passato da un bicchierino di vetro all’altro finché raggiunge la giusta consistenza e si forma una schiumetta sulla superficie. Poi tirò fuori della marijuana e ….di lui mi diventò tutto più chiaro….

Quando mi accomiatai dalla mia compagnia era ormai sera inoltrata, forse quasi mezzanotte, mi incamminai da solo attraverso le viuzze di Ouakam, alla ricerca ed in attesa di un taxi, felice della giornata trascorsa e di aver ascoltato il cuore….senza paura.

Se volete vedere la plage des Mamelles, andate su google earth, inserite dakar-yoff. Vi verrà mostrato l’aeroporto: dove la pista d’atterraggio a sinistra termina, verso il basso, poco più avanti c’è il mare, la strada fa una curva e, sotto c’è una spiaggetta: quella è la spiaggia des Mamelles. Se ne può vedere anche il sentiero che si deve fare per raggiungerla….io mi sono inoltrato in quella strada che c’è di fronte. Se vi trovate a Dakar, andateci a farvi un bagno…


(16/03/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


Viaggiare con i 5 sensi è benessere

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