Più fortunata è Daniela, 36 anni, che è riuscita a conciliare un lavoro flessibile con l'essere mamma di tre figli, che hanno dagli otto mesi agli otto anni. È un po' la supermamma beniamina di tutte quante. Ultimamente è alle prese con le ultime malattie invernali che hanno colpito i tre pargoletti contemporaneamente, costringendo lei e suo marito a un pesante tour de force.
Dei due, quella che ha potuto sfruttare part-time e permessi per stare a casa, è lei: “E mio marito comunque fa quello che può, appena a casa dal lavoro schizza lui a fare tutte le commissioni, per alleggerirmi. 'Corro a farti la spesa' mi dice premuroso senza nemmeno togliersi il cappotto. Ma io lo fermo – ride – Gli dico che ci vado io! Ci voglio andare io! Voglio la mia ora d'aria!”.
Un altro giro di limoncello e stavolta è Giorgia che si scioglie. Non tutte le storie allegre, e non mi pare giusto scendere nei particolari personali di quella di Giorgia: tre anni fa, quando ne aveva 20, ha abortito. Il suo dolore non si può raccontare e la sua vicenda non dovrebbe essere paradigmatica di nulla. Basti sapere che è una donna forte e che porta sulla sua pelle una scelta che continua a ritenere giusta: “Il mio ragazzo era ancora un bambino, e per quanto premuroso non era capace di afferrare tutta l'immensità della cosa. Non volevo fare da mamma a due bambini invece di uno. Non volevo rinunciare ai miei sogni.” Ma non erano solo la paura e la solitudine a guidare i pensieri di Giorgia “Poi quando l'ho spiegato a mia mamma, che quando mi ha avuta era troppo giovane, ho dovuto anche spiegarle un'altra cosa: quanto fosse stato difficile per me avere una mamma amorevole, sì, ma non preparata. Io non volevo ripetere quella storia”.
Rimaniamo in tre a dover dire la nostra. Tutte e tre giovani e dal futuro incerto, per cui la maternità è veramente un foglio bianco. Stefania nega decisamente l'idea: si sente ancora più figlia che potenziale mamma, proprio come me. Bea ha qualche anno in più e le idee un po' più chiare: idee che comunque non contemplano la ricerca di un figlio prima di avere una casa sua, una minima stabilità, cose per cui sta cercando di combattere.
A chi pontifica sulla paura dei trentenni di oggi di uscire di casa, di legarsi stabilmente e di fare figli, risponde combattiva che non è paura, ma è sbattere la testa contro un mondo (casualmente costruitoci attorno proprio da chi tende a pontificare su calo delle nascite e inettitudine giovanile) fatto di precariato; di sfruttamento mascherato da tirocini, stages e contratti a progetto; di subdoli disincentivi come quelli che sono emersi nel colloquio di Martina.
Ovviamente da tutto ciò esco frastornata. La mia confusione trova conferma, con il vago sospetto che a nascere qualche anno fa, le cose sarebbero state più facili. Ha ragione Bea: non ho realistiche prospettive per i prossimi anni se non un susseguirsi di contratti a progetto e nessuna stabilità, e non perché non la cerchi. Ha ragione Giorgia: i nostri coetanei non sono cattivi né stupidi, ma nella maggior parte dei casi sono immaturi, sembra che il problema non li riguardi, e se penso a tutti i ragazzi che ho avuto non ne trovo uno neanche lontanamente corrispondente a un ipotetico ruolo di padre.
Ma c'è anche Laura che è vicina a me per età e per studi, e ha deciso di scommettere sul bambino che verrà. La sua presenza fa scattare in me qualcosa. A vent'anni avrei fatto la stessa scelta di Giorgia. Ma ora che ne sono passati solo tre c'è qualcosa di veramente diverso nel modo in cui vedo le cose.
Penso che forse, trovandomi nei panni di Laura, manderei a quel paese capi-sfruttatori e fidanzati-bambini, e rischierei, anche in solitudine. Che poi solitudine non sarebbe.
Troverei la forza di rinunciare a tutto (studi, viaggi, comodità e sogni) per un bambino?
Non ho la risposta, ma per la prima volta mi pongo la domanda in una maniera realistica. E forse vuol dire che sono cresciuta un po'.
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