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Mi sorrisero, risero, una delle due vecchie mi disse “Kay fi!”, vieni qua. Le due donne anziane, dall’apparente età di 60 anni, sembravano proprio delle matrone: una era la mamma e l’altra una sua amica..Non sapevano il francese. Le due più giovani erano una sorella, Thyane, e la cognata di Mansoure Amy. Che emozione. Anche e soprattutto per me. Passare quel portone fu come passare una porta spazio-temporale. Subito fui catapultato con i pensieri in quel parcheggio del supermercato a Vigevano in cui Mansoure vende le sue cose.

Mi si concretizzò, in pochi secondi, davanti agli occhi la vita e l’esistenza passata di una persona, il cui presente ci è spesso indifferente. Ero lì, nella casa e tra la famiglia di uno dei tanti “vu’ cumprà” che popolano le vie italiane. Io ero nel suo passato, mentre il suo presente era così lontano. La sua esistenza quasi apparente fino a qual momento divenne realtà. Fui per un attimo confuso e commosso. La casa era costituita da un cortile centrale grande quanto un paio di stanze e delimitato su due lati da un porticato su cui si affacciavano cinque camere e un bagno.

Di fianco al portone d’ingresso vi era una sesta stanza. Una di queste stanze era inagibile perché il soffitto era pericolante, e sarebbe dovuto essere riparato con i soldi che Mansoure spediva dall’Italia. Anche il bagno sarebbe dovuto essere riparato. Quando l’anno successivo tornai a trovarli, trovai il tetto sistemato, ma il bagno no. Nel frattempo la mamma di Mansoure divenne nonna. Conobbi anche i fratelli di Mansoure e un’altra sorella, sposata, che abita a qualche centinaio di distanza e che insegna in un liceo privato. Un fratello, Ablay, era anch’egli insegnante, mentre Modu faceva il muratore, come Mansoure prima di venire in Italia.

Insomma una situazione certo non di ricchezza, ma di relativa agiatezza sì. Il tenore di vita era sicuramente decoroso: due pasti giornalieri, colazione, Coca-Cola o Fanta da bere, quasi ognuno possedeva un cellulare, TV e videoregistratore, due diversi telefoni fissi, frigorifero, in ogni stanza (a parte la mia) un letto, un divano, qualche poltrona, uno stereo per la musica. Tutte cose che molti, a Dakar, non si possono permettere tutte insieme: si dovrebbe decidere ciò di cui fare a meno. Mi chiesi, allora, perché molti giovani, pur vivendo in una situazione di relativa agiatezza, abbandonano la propria terra, gli affetti, gli amici, le proprie abitudini, insomma i propri riferimenti vitali, per andare in un posto lontano, pieno di incognite, freddo, in cerca di fortuna. Ma quale fortuna? Il gioco vale la candela? Abbandonare un quartiere dove ci si conosce un po’ tutti, si è amici o parenti, deve essere molto difficile.

Un giorno in TV vedemmo un documentario su dei sommozzatori che scendevano nelle profondità del mare. Thyane disse che i “Toubab” (i bianchi) sono matti a fare quelle cose: “Perché lo fanno? Perché scalano le montagne e magari ci muoiono? Che bisogno c’è?”. Eh, bella domanda. Perché? Risposi che è il gusto dell’avventura, la sfida alla natura ed altre balle: non riuscii a risponderle con precisione.

La mamma era una musulmana molto ligia e devota, e pregava più volte al giorno, sempre inginocchiata in direzione est. Ero affascinato dalla sua devozione. Una volta mi disse che avrei dovuto convertirmi, che sarei dovuto diventare musulmano. Le risposi di no, perché c’è da pregare troppo.

Essendo l’unico bianco del quartiere, un giorno venni invitato ad un battesimo. La strada venne praticamente bloccata. Vennero sistemate delle sedie di plastica, quelle bianche che ci sono da noi nei bar delle piscine all’aperto, a formare un quadrato, una tenda per il sole, un po’ di musica (in realtà si trattava di preghiere e prediche musicate), bibite fresche e qualcuno che, a turno, ballava al centro dello spazio creatosi. Assaggiai il latte cagliato con zucchero (molto simile allo yogurt), tipico di queste occasioni.

Un altro giorno aiutai un amico della famiglia, un sottufficiale dell’esercito, a traslocare. Usammo un furgoncino dell’esercito e molti, al nostro passare, gridarono “Casamance”, regione del sud del Senegal in cui vi è una guerriglia tra ribelli e governo.


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