Origine e storia: le sue origini si fanno risalire alla località di Bibbiano, facente parte del ducato di Parma, anche se c’è chi le porta indietro fino al periodo romano, quando le fonti parlano di un formaggio prodotto nel territorio lodigiano e che sarebbe perciò il lontano progenitore del parmigiano. La prima citazione di questo formaggio si ritrova nel Decamerone di Giovanni Boccaccio, dove si narra di un personaggio che sognava di vivere nel paese del Bengodi: qui si trovava “una montagna tutta di formaggio grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e ravioli, e cuocerli in brodo di capponi”. La produzione si svolgeva nei monasteri presenti nella campagna tra Parma e Reggio Emilia, dove era garantita l’abbondanza di acque sorgive: in particolare, i monasteri benedettini di San Giovanni e di San Prospero e i monasteri cistercensi di San Martino di Valserena e di Fontevivo. Rientravano nel processo di produzione anche le saline di Salsomaggiore. A partire dal XVII secolo il parmigiano divenne un bene molto pregiato che le corti europee si scambiavano l’una con l’altra in occasione di feste e ricorrenze particolari.
Zona di produzione: Consorzio di produzione e tutela del Parmigiano Reggiano, limitato alle province di Parma e di Reggio Emilia e ad alcuni territori circostanti nel modenese, nel bolognese e nel mantovano.
Latte: vaccino (da mucche si razza frisona, ma anche dalla vacca rossa reggiana), semigrasso, crudo.
Lavorazione: sia artigianale sia industriale. Fino a non molto tempo fa, le forme erano preparate all’interno dei tradizionali “caselli”, realizzati a base ottagonale in modo da permettere l’areazione del formaggio. Anche oggi la produzione del parmigiano è molto attenta al mantenimento delle tradizioni, per cui la cottura del formaggio avviene all’interno di grandi caldaie in rame e non in acciaio. Le mucche dalle quali si ricava il latte destinato alla produzione del parmigiano sono oltre trecentomila. Annualmente sono messi in commercio ben tre milioni di forme. È molto importante che il latte sia portato verso la produzione molto fresco: per questo motivo la mungitura delle mucche avviene due volte al giorno, una alla mattina e una alla sera. La prima fase di lavorazione utilizza il latte della mungitura mattutina e la porta all’interno delle grosse caldaie in rame assieme alla parte più magra di quello della mungitura serale, che è stato lasciato per tutta la notte a riposare, in modo da permettere la separazione nei due strati (quello più grasso e quello più magro).
Al latte scaldato si aggiungono il siero ottenuto dalla coltivazione di fermenti naturali e il caglio, un enzima ricavato dallo stomaco dei vitelli da latte. Poiché il latte cagliato tende a coagularsi velocemente (circa quindici minuti), occorre romperlo in granuli con l’utilizzo di uno specifico frullino a lame manovrato manualmente, in modo che questi non si depositino sul fondo della caldaia nel corso della cottura (temperatura compresa tra 45° e 55°C). Dopo un primo periodo di riposo, la pasta viene avvolta in tele di canapa e subisce una prima pressatura.
Quindi viene estratta dal siero una massa molto compatta, la quale rimane per tre giorni a riposare a una temperatura costante di 24° entro grossi stampi circolari, nei quali sono impressi i puntini che formeranno la scritta "Parmigiano Reggiano”.
Successivamente, le forme vengono immerse per circa tre settimane in un bagno di salamoia nel quale il formaggio assume il proprio sapore caratteristico e dove la forma si indurisce. Infine inizia il lungo periodo di stagionatura, che dura almeno ventiquattro mesi: all’incirca verso la metà del processo, gli addetti ai lavori procedono a controllare le caratteristiche e il colore della pasta. Terminata la stagionatura, le forme sono marchiate a fuoco per garantirne l’autenticità.
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