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Mi alzai e mi affacciai dalla terrazza, adornata con un banano, una bouganville e dei mobili in bambù, incuriosito di vedere con la luce del sole questa periferia “dakarese” (come si dice in italiano “di Dakar”?). Le strade erano completamente sterrate, con cumuli di macerie un po’ da tutte le parti.

Come da noi la neve d’inverno che viene ammucchiata per liberare le strade. C’era un magnifico sole, caldo. Poi andammo in centro in auto. Un traffico che sembra senza regole (e forse in effetti lo è), diventa sempre più caotico, e sconfusionato man mano che ci avviciniamo al centro. Le macchine (quasi tutte uguali: gialle e nere, sono i taxi, come a Barcellona), spesso più che ammaccate, quasi rottami mobili, con vetri rotti e senza luci, condividono la strada con lenti carretti trainati da cavalli.

Poi ci sono i “car rapide”, i mezzi di trasporto collettivo, molto colorati, vivaci, belli, sempre stracolmi di gente. Dall’auto vedo, certo povertà, bambini che mendicano, ragazzi che vanno avanti e indietro a vendere giornali, donne sedute sul bordo della strada in (vana?) attesa di vendere una banana, un cocomero, un limone od altro, mucche e capre che gironzolano libere (ma questa non è la Svizzera, è la periferia di Dakar), immondizie che fumano, splendide bouganville che abbelliscono i muri grigi di cemento delle case, palme, bellissimi eucalipti che con la loro ampia chioma offrono ombra, riparo alla calura pomeridiana. Vedo gente che bighellona, come se non avesse niente da fare se non godersi i bei momenti della vita, in tranquillità, baciati dal sole, in attesa che capiti qualcosa che vivacizzi la giornata.

Vedo uomini che spingono carretti carichi di cianfrusaglie, vedo mercati che sembrano vendere di tutto, ma tutto inutilizzabile, tanta sabbia. Vedo solo case in costruzione, quasi nessuna che si possa definire “terminata”, ma tutte abitate, come se l’intero quartiere si trovasse in una stato di provvisorietà, oppure di rinnovamento, a seconda dei punti di vista. Comunque, si tratta di una situazione permanente. Chi conosce Dakar sa di cosa parlo.

La spontaneità e l’improvvisazione qui sono di casa. E che emozione quando dalla VDN arriviamo sulla strada litoranea, la “Route de la Corniche Ouest”. Proseguiamo verso il centro:alla mia sinistra la città, con la sua Grand Moschee, l’Università Cheik Anta Diop, la Medina, Sandaga, ed alla mia destra l’Oceano Atlantico, le palme, fioriere che stanno per essere posate, una spiaggia, la Plage de Fann, sulla quale vedo centinaia di ragazzi correre, saltare, che fanno piegamenti, flessioni.

Come se tutti si stessero allenando. Sì, ma per cosa? Poi passiamo il Village Artisanal, la Porte du Millenarie, il mercato del pesce di Soumbedioune, l’ipotetica casa di Youssu N’Dour. Vedo un bellissimo sole caldo, che scalda ed illumina questa bella città viva, allegra, colorata, piena di energia, di contraddizioni, di umanità. E penso “Che bello” e mi sento felice. Poi, improvvisamente una voce: ”Giuliano, vedi quell’isola? È l’isola di Gorèe. Lì venivano imbarcati gli schiavi per l’America”. “Ah!”, dissi, colto da sgomento….Fine prima parte


(19/01/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


Viaggiare con i 5 sensi è benessere

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