In Italia, dato che la figura del museologo non è riconosciuta, non esiste neppure un tipo di formazione “ufficiale” da poter intraprendere. La Museologia, quando si è fortunati, costituisce una delle materie di alcuni corsi universitari delle facoltà di Lettere o Beni Culturali, oltre che della Scuola di Specializzazione in Archeologia e di quella in Storia dell’Arte (la situazione non è identica in tutte le università italiane); la Museografia si può apprendere nelle facoltà di Architettura o nelle Accademie di Belle Arti. Da nessuno di questi percorsi formativi si esce tuttavia con un diploma di museologo né di museografo.
Di contro, pullulano tutta una serie di stage e master, la maggior parte dei quali si rivolge agli aspetti della gestione economica e del marketing legati ai musei, e dell’organizzazione di mostre ed eventi. Tutto finisce nello stesso calderone; rari sono i master “seri” che garantiscano un corpo insegnante davvero qualificato e un tirocinio finale che superi i 15 giorni (ben diversa la situazione all’Estero!).
Per chi abbia la volontà di costruirsi una preparazione “fai da te”, la bibliografia è vastissima. Consigliabile, neanche a dirlo, approfondire quella straniera, soprattutto anglosassone, non fosse che per la ricerca che lì viene portata avanti da tanto tempo (naturalmente, con le dovute meritevoli “eccezioni italiane”). Consigliabile è anche consolidare le proprie conoscenze con una lunga esperienza diretta al museo.
Durante l’università (meglio cominciare al più presto) o appena dopo la laurea, auspicabilmente con l’appoggio di un professore che ci stima, si fa domanda in un po’ di musei, alcuni dei quali saranno ben felici di accettare nuova forza-lavoro gratis. “Bene! È la gavetta! fortunato chi non c’è passato...”- abbiamo pensato tutti, contenti di entrare finalmente nel “tempio” non dall’ingresso del pubblico ma dalla porta, che ci aveva sempre affascinato, degli addetti ai lavori.
Passa il tempo, il direttore stima molto il nostro lavoro. Terminiamo tra gli applausi la nostra ricerca, o l’inventariazione-catalogazione di infiniti pezzi che nessuno toccava da lustri (è il lavoro più richiesto a noi giovani volenterosi). Fin qui niente di nuovo all’orizzonte.
Passa ancora del tempo, ci siamo laureati (“Ora sì che mi proporranno un compenso... dopotutto hanno apprezzato il mio impegno..”), poi passano altri tre anni, ci siamo specializzati (“Eh, ora che ho questa qualifica, per giunta con questa tesi straordinaria... non mi potranno dire di no..”).
Intanto il nostro curriculum, arricchito a sufficienza (alcuni di noi hanno pure maturato un’esperienza all’Estero) sta vagando da mesi di museo in museo. Qualche istituzione statale risponde con cortesia: “Gentile Dottoressa, la ringraziamo per averci mandato il suo ottimo curriculum ma la informiamo che qui si entra solo per concorso pubblico”. Peccato che l’ultimo concorso risalga a tempi di cui non conserviamo memoria, e che di altri in programma non ce ne siano.
Poi, ecco la risposta di un museo gestito da un ente locale: “Data la sua preparazione e competenza, siamo felici di offrirle un tirocinio gratuito”. Ma io la gavetta già l’ho fatta per 2-3 anni, penso che sia ora di cominciare a portare qualche soldo a casa.... Questa è stata più o meno la mia replica a una decina di musei che mi hanno offerto l’ennesima collaborazione gratuita.
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