Il Settecento è “in”: basta dare uno sguardo alle passerelle per accorgersene. Da alcune stagioni è tornata a farsi vedere una donna iperfemminile: gonne ampie e gonfie, fiocchi e trine, bustier che strizzano il punto vita, scarpe rialzate o con la zeppa, ricami, perline e paillettes.
La fantasia e l’azzardo nel combinare colori, materiali ed accessori sono passate dagli atelier d’alta moda – dare un’occhiata alle collezioni per l’inverno appena trascorso proposte da Chanel e Dior per farsi un’idea… – ai megastore alla portata delle tasche delle più giovani: Zara, H&M, Mango e compagni hanno decisamente relegato al reparto “sconti vecchie collezioni” i capi più minimal e hanno puntato su un’immagine scintillante e romantica fatta di tulle, pizzi, nastri e colori pastello.
E qualcosa fa pensare che non ce ne libereremo tanto presto. Fresco della sua presentazione a Cannes fa parlare di sé (bene o male, non importa) il nuovo film di Sofia Coppola, questa volta alle prese con quella che fu senz’altro sovrana incontrastata della moda del suo tempo: Maria Antonietta, regina di Francia.
I costumi della bella Kirsten Dunst e dei suoi colleghi sono firmati da una veterana del genere: Milena Canonero, due volte premio Oscar di cui una per Barry Lyndon, film per il quale la maniacale precisione di Stanley Kubrick richiese ricerche lunghissime per abiti che erano praticamente riproduzioni di quelli d’epoca.
Del resto quello fra la moda e il Secolo dei Lumi è un matrimonio stabile e di lunga durata: fu proprio Rose Bertin, la modista di Maria Antonietta, a rivendicare per prima il proprio statuto d’artista: a chi le chiedeva conto degli alti compensi che esigeva, rispondeva “al pittore Vernet pagate soltanto la tela e i colori?”.
Questa moda opulenta e votata all’eccesso subì l’oblio con la Rivoluzione, considerata (e non a torto) come sintomo della decadenza e degli sperperi di un’aristocrazia da annientare: la nuova classe borghese in ascesa trovava morali abiti sobri e funzionali. Ma quando quella stessa borghesia si installò più saldamente al potere in vari stati d’Europa – dopo aver soffocato i moti del 1848 ed essersi definitivamente divisa dal proletariato dei contadini e degli operai – ecco che rispuntarono, a garantire lo status dei nuovi potenti, pizzi, busti, crinoline e chilometrici cerchi alle gonne, revival del un modo di vestire ancien régime un tempo vituperato.
Nel secolo appena trascorso, votato alla semplificazione del modo di vestire di una donna attiva e lavoratrice, gli scintillii del Settecento si ritrovano nelle collezioni eccentriche e sovrabbondanti della vulcanica Vivienne Westwood. E sono strettamente collegati a un periodo – tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 – che voleva mascherare sintomi di disorientamento e di decadenza con l’esagerazioni, la citazione e il pastiche. Non a caso, nella musica, è il tempo del glam rock con le sue paillettes e i suoi lustrini, e del punk con i suoi eccessi. Non a caso la Westwood fu la stilista che vestì queste band, o ne trasse ispirazione.
Non a caso, ancora, il film della Coppola fa abbondante uso di rock anni ’80 nella sua colonna sonora. E il titolo che campeggia in fucsia sulle locandine e alla fine dei trailer sembra prelevato direttamente dalla copertina di Never Mind the Bollocks dei Sex Pistols.
Dalle passerelle, al cinema, alla musica. E ritorno.
Moda è divertimento, divertirsi è benessere
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