La pianta di cui parleremo in questa prima puntata post-pasquale è la Passiflora. Dopo aver magnificato la Tibouchina eccoci un’altra volta a parlare bene di una pianta brasiliana. Piccola parentesi: in verità non è solo brasiliana, ma siccome in Brasile io personalmente ne ho viste tantissime specie, splendidamente a loro agio arrampicate ovunque, mi piace dire che è brasiliana (con un rigore scientifico talmente inflessibile da meritarmi di essere inseguito e preso a pietrate dal fantasma di Linneo).
In realtà la Passiflora è una pianta che ha i suoi natali nelle fasce tropicali e sub-tropicali dell’America e, in misura minore, dell’Asia. Nel diciassettesimo secolo fu massicciamente introdotta in Europa dove in seguito alcune specie sono riuscite addirittura ad acclimatarsi fino a far parte della flora locale spontanea: ovviamente non nei distretti Siberiani pieni di neve e di magnati del petrolio, ma sulle tiepide e accoglienti coste del nostro amato Mediterraneo blu. In particolare nel Sud Italia non è raro trovare la Passiflora coerulea pigramente abbarbicata a qualche supporto come fosse un’anaconda su un albero di Jaca nel Pantanal (chi legge Terranauta sa dov’è il bellissimo Pantanal, gli altri, per punizione, lo cerchino sull’Atlante).
Quando mi si para davanti una pianta non autoctona in mezzo a un contesto di habitat naturale mi girano sempre un po’ le scatole… ma devo dire che per la Passiflora faccio volentieri un’eccezione e quando la incontro sono sempre molto felice. Certo, si tratta sempre di una deprecabile contaminazione che va a prendere a picconate la biodiversità locale, ma almeno è una contaminazione bella da vedere…e forse qui sarebbe il fantasma di Darwin a farmi bersaglio di una fitta sassaiola, ma tant’è…
Per molti appassionati questo genere di rampicanti è ingiustamente trascurato. In effetti è di portamento magnifico, con foglie eleganti e con fiori fantastici. Il problema è che non è una pianta molto rustica: la maggior parte delle sue specie non resiste all’inverno italiano. Alcune però, se vengono protette in inverno, possono fare bella mostra di sé in qualsiasi terrazzo. Se poi abitate nel Sud Italia potete usarla con la stessa disinvoltura con cui coltivate un’edera.
Il nome Passiflora, dato da Linneo nel 1753, deriva da Flos Passionis, in latino fiore della passione. Passione non intesa come quel sentimento che arrossa le guance e rende meno misera l’esistenza, ma come l’ angosciante Passione di Cristo prima della morte. Peccato che un fiore così bello evochi sofferenza e non vivacità… vabbeh…non si può avere tutto… In ogni caso l’origine di questo nome è piuttosto curiosa. I primi missionari approdati in Sud America furono talmente abbagliati dalla bellezza di questo fiore, che tra un battesimo di un Indio e una fucilata a un Maya, ci videro nell’ordine: negli stigmi del fiore i chiodi di Gesù, nei viticci del fusto i flagelli che i romani usavano per frustarlo, nei petali e nei sepali gli Apostoli, nelle antere le ferite e infine nei filamenti la Corona di spine. Mica male no?
In questo aprile finalmente caldo le passiflore abbondano nei vivai, costano abbastanza, questo sì, ma andate a conoscerle, toccatele, annusatele, sentite quello che hanno da dirvi. Se si accende la scintilla compratene un’esemplare senza dubbio: fidatevi, non vi pentirete!
Prendersi cura delle proprie piante è benessere
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