L’oleandro è un albero molto, molto, molto diffuso in tutta l’Italia. Insomma, troppo. La sua estensione sul territorio ha qualcosa di virulento. Per questa ragione il suo utilizzo in un giardino è un po’ un dilemma per tutti. Perché è una pianta bella, bellissima perfino; ma ha il difetto di evocare - almeno a me - nell’ordine: lo spartitraffico dell’autostrada, le asfaltate dei parcheggi al mare e i camping dei laghi pieni di roulotte e di Tv urlanti. Quindi questo è il dubbio: lo vogliamo in casa nostra un’ospite, di per sé carino e simpatico, ma che ci ricorda tutto il tempo queste cose? O forse la questione è più semplice, riconducibile a un comune meccanismo un pò snobistico: la vogliamo una pianta che c’è ovunque?
Non c’è soluzione al celebre Dilemma Oleandrico del Giardiniere. L’unica cosa assennata da fare è: osservare per dieci minuti una foto di un oleandro, dopodiché, sondare il proprio subconscio, esplorare il proprio conscio, ricercare eventuali anomali formicolii cutanei di origine psicosomatica, mettersi una mano sulla coscienza, contare fino a quindici e infine decidersi senza rimpianti.
Il motivo della sua infernale diffusione è da ricercare (ovviamente) nella quantità smisurata di pregi che questa pianta vanta: resiste al freddo, all’inquinamento, alla siccità, ha fiori incantevoli per gli amici e per le fidanzate, ha foglie velenose per i nemici e per le suocere. Che altro… è adatto sia a formare siepi, che a essere utilizzato come imponente albero isolato, in Italia sta bene in ogni regione, ha fioritura è lunga tre mesi, è bello in vaso così come in piena terra. Insomma, davvero ha molte frecce nel suo arco, e se la sua bestiale diffusione non ci va venire l’orticaria è una delle piante più consigliabili del panorama floristico.
L’Oleandro è originario del Bacino del Mediterraneo, soprattutto della parte orientale di esso. Quando coltivato in terra libera raggiunge i sette metri di altezza ed è caratterizzato da una chioma fitta e ampia. La sua fioritura inizia a metà giugno e dura fino a settembre. I fiori sono generalmente rosa o rossi, ma anche la varietà a fiori bianchi è molto diffusa.
Le specie all’interno del genere Nerium sono una, due o tre a seconda delle classificazioni e delle opinioni dei botanici. Nell’ambito ornamentale comunque esiste solo il Nerium oleander, l’oleandro appunto. Questa unica specie però comprende più di 400 varietà, distinguibile oltre che dal colore, anche dalla forma del fiore.
Come anticipato prima è una pianta estremamente velenosa, tossica in tutte le sue parti: radici, rami e foglie. Se avete figli o cani (scusate l’associazione) insegnate loro a non masticare le foglie, perché oltre a provocare dolorose piaghe in bocca, se ingerite possono provocare addirittura l’arresto cardiaco. Quando si parla di tossicità delle piante, comunque, va sempre tenuto ben presente che almeno un quarto di esse sono velenose, quindi allarmarsi troppo per una in particolare è fuori luogo. Tant’è che di gente avvelenata dall’oleandro, seppur pianta così diffusa, non se ne sente mai. Il Pizzetti racconta di una pattuglia di soldati francesi che alla fine del ‘700 fu sterminata perché decise di arrostire allegramente delle pernici utilizzando dei rami di oleandro come spiedi. O anime incaute…
Il nome botanico di questo albero è Nerium, deriva da Neros, acqua in greco. Il motivo per il quale il buon Linneo abbia voluto, nel 1735, chiamare una pianta che prospera in luoghi siccitosi con il nome di “Acqua” non lo sapremo mai, il meritevole naturalista s’è portato questo segreto nella tomba. E non è la prima volta che il nostro svedese battezza le piante seguendo dinamiche psicologiche o da buontempone o da nevrotico con difficoltà percettive…
Prendersi cura delle proprie piante è benessere
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