Successivamente Django si avvicinò all’universo americano. Ascoltò molto il jazz d’oltreoceano. Ne interpretò alcune perle, si pensi alla Night and Day di Cole Porter. Suonò con Colemann Hawkins, Glenn Miller, il trombettista Bill Coleman. Partì addirittura in tournée con Duke Ellington, nel ’46.
Ma è il periodo parigino del famoso quintetto, che ancora oggi ci emoziona.
La magia di Nuages non ha eguali. E che sia un capolavoro, Pino Daniele non è il solo a pensarlo.
Poi gli swing, le improvisation, Honeysukle Rose. Tutte le incisioni di quegli anni sembrano creare ancora adrenalina all’udito. L’epifania del genio. Una leggenda che si dondola a tempo di swing. Uno swing tsigano. Gipsy swing. Come fu chiamato poi.
Ora, Django c’è ancora. Non solo nei supermercati o nei negozi, dove tra le offerte ogni tanto spuntano i suoi baffetti neri. Ma al cinema, per esempio. Accordi e Disaccordi di Woody Allen non ne è l’unica testimonianza. Chi credete che impersonasse infondo il Johnny Depp di Chocolat? Quel personaggio dal fascino gitano, che accanto al fiume suonava note djanghiane in un contesto francese, non poteva esserne che una citazione. Del resto anche l’incendio c’era, nel film.
Poi, con la nascita negli anni sessanta del jazz manouche, ispirato al suo stile, i gruppi e le rassegne dedicati a Django sono davvero diventati innumerabili. L’universo musicale non potrà mai far a meno di un tipo come lui.
Così, sulle note di Nuages, ci piace ricordarlo. Oggi. Non il centenario della sua morte. Non la data del suo compleanno. Semplicemente un giorno qualsiasi. Forse a lui sarebbe piaciuto così. Essere colto alla sprovvista. Come un incendio. Come quando cominciava a suonare.
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