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Il mosto più pregiato era lasciato fermentare per circa un mese e poi travasato in recipienti via via più piccoli. I vini destinati a un invecchiamento più lungo erano lasciati in locali appositi chiamati aphoteca e posti al primo piano degli edifici, proprio al di sopra delle cucine in modo che il calore rendessero questo processo più veloce.

Quindi i vini passavano in un locale più fresco, chiamato tabulatum e poi travasati in particolari anfore che erano poi affondate nella sabbia in modo da mantenere la posizione verticale; questi vasi avevano generalmente una capacità di trenta litri, erano sigillati per mezzo di tappi di sughero e saldati con la pece ed erano etichettati con l’annata e con il nome del produttore.

Spesso il vino era appositamente “alterato” per migliorarne il sapore: erano utilizzati, per esempio, la polvere di marmo che tendeva ad addolcirlo, l’albume d’uovo oppure il latte di capra per renderne il colore più chiaro oppure la resina e la mirra per permetterne un invecchiamento più lungo.

Giunto a tavola, il vino era versato all’interno di un cratere, mescolato con l’aggiunta di acqua e infine versato nei bicchieri per mezzo di un mestolo chiamato simpulum.

Esistevano diversi tipi di bicchieri, tra i quali i più comuni erano il kantharos, di origine etrusca e realizzato in bucchero, e il cyatus, caratterizzato da una particolare forma ricurva che si appoggiava al tavolo mediante un piede con due estremità.

Le principali qualità di vino erano il falerno, il massico, entrambi campani, il cacubo laziale, il mamertino siciliano, il retico veneto; dall’estero giungevano vini dalla valle del Rodano e dalla Borgogna in Gallia e dalla regione di Tarragona, in Spagna.

I banchetti più importanti erano accompagnati dalla presenza di una magister simposii, un intenditore enologico che si occupava di versare vini di diversa composizione e gradazione a seconda dei pasti ai quali si accompagnava e all’andamento della serata.

Come i greci, anche i romani consideravano estremamente sconveniente bere vino puro (chiamato merum), in quanto l’effetto era spesso controproducente: a tal proposito le fonti segnalano che l’imperatore Tiberio era solito non aggiungere acqua al proprio vino e che per questo motivo “godeva” di una pessima reputazione presso la sua corte.

Il consumo di vino puro iniziò solamente in età tardo imperiale, quando mutarono anche le tecniche di produzione e si riuscì a diminuirne la gradazione alcolica senza l’utilizzo di altri liquidi.


(25/01/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


Conoscere cosa mangi è benessere

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