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LE VOCI DI MARRAKECH
RITROVARE IL "CALORE DELLA VITA"

ELIAS CANETTI

È uscito nella collana gli Adelphi Le voci di Marrakech, il singolare resoconto che Elias Canetti scrisse del suo soggiorno nella città marocchina, dove, in mezzo all'estraneità di una lingua sconosciuta e di luoghi mai visti, finì per ritrovare quel "calore della vita" e quella "ostentazione della densità" che sentiva esistere profondamente in se stesso.

Gianluca Traini

Tra tutti i libri di Elias Canetti Le voci di Marrakech, da poco proposto dall'Adelphi in edizione economica con la traduzione di Bruno Nacci, è, dato il suo carattere occasionale, forse il più singolare.

Scritto dopo un soggiorno nella città marocchina che Canetti fece nel 1954 in una pausa presa dal lavoro per Massa e potere, l'opera centrale della sua vita, Le voci di Marrakech è una raccolta di note di viaggio tutte incentrate sulla particolare realtà che lo scrittore ebreo si ritrovò a vivere in quella città. Lo stesso Canetti in alcuni appunti contenuti nella Provincia dell'uomo chiarisce alcune caratteristiche di quei luoghi che lo colpirono con particolare forza: "La circolarità di ogni avvenimento a Marrakech, come le orbite dei ciechi; nulla finisce, nulla s'interrompe, la cosa più Abrupto trova un proseguimento nella ripetizione."; e ancora: "Cos'è che si ama tanto nelle città chiuse, nelle città interamente recinte da mura, in quelle che non finiscono progressivamente e senza una regola nelle strade della periferia?

È soprattutto la densità, uno non può uscire da qualunque parte, ogni volta torna ad imbattersi nelle mura e viene rimandato indietro, verso la città. In una città con molti vicoli ciechi, come Marrakech, questo fenomeno si ripete moltissime volte (.)

Qui gli estranei sono più estranei, e gli abitanti sono più a casa loro." Eppure proprio in questa città dove gli estranei sono più estranei Canetti ritrovò se stesso più che altrove, finendo per sentirsi più a suo agio con gli abitanti del luogo, di cui non capiva la lingua, piuttosto che con gli europei con cui soggiornava e di cui faceva parte. Questo sentimento di identificazione toccò il suo culmine nella visita alla Mellah, il quartiere ebraico, nella cui piazza Canetti sentì di essere già stato: "Da lì non volevo più andarmene, ci ero già stato centinaia di anni prima, ma lo avevo dimenticato, ed ecco che ora tutto ritornava in me. Trovavo nella piazza l'ostentazione della densità, del calore della vita che sento in me stesso.

Mentre mi trovavo lì, io ero quella piazza. Credo di essere sempre quella piazza." Scritto utilizzando una narrazione piana e colloquiale.


  
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