Il cittadino medio in Argentina ha una conoscenza delle tematiche macroeconomiche che in Europa non possiamo nemmeno immaginare. Perché è la loro vita, perché l’inflazione o le svalutazioni monetarie sono qualcosa che in breve tempo possono togliere loro – e già lo hanno fatto in passato – il cibo dalla tavola.
Ed ecco perché alcune persone tirano dritto se per strada chiedi un’informazione, o perché i citofoni delle case non possono essere comandati dall’appartamento, ma bisogna recarsi di persona al portone per fare entrare qualcuno: perché siamo in un paese che, in decenni (e secoli) di una storia dura, ha imparato a non fidarsi; e perché una sorta di trauma si è diffuso fra la gente dopo il crac degli ultimi anni. E per lo stesso motivo Buenos Aires è una città ricolma di mendicanti, di gente che distribuisce volantini. E di tassisti. C’è sempre molto da imparare di una città dai suoi tassisti. A Buenos Aires se dal momento in cui cerchi un taxi a quello in cui ci sali passa più di un minuto vuol dire che hai il malocchio. Ce n’è una quantità incredibile. E alla guida delle auto malandate si trovano ingegneri, esperti di cinema, ex manager. Persone decadute, spesso colte o interessanti, che si sono rifatte una vita.
Un tassista mi spiega il suo punto di vista. L’Argentina è un paese “maravilloso”, che ha un solo problema: gli argentini. Provo a dirgli che no, a me non sembra, che sono gente pensante e creativa, che forse gran parte dei problemi nascono per il livello di corruzione delle alte sfere politiche ed economiche. Mi ribatte che gli argentini sono indolenti, ma furbi, che la testa la usano per raggirare il prossimo. A Buenos Aires, dice, se gratti via l’asfalto e butti dei semi, e, senza fare altro, torni dopo una settimana, trovi una pianta. E’ che gli argentini vivono su un territorio bello e generoso ma non hanno voglia di coltivarlo e di coltivarsi, lavorando. Preferiscono vivacchiare di espedienti. Sono pigri, accettano passivamente quello che succede. Negli ultimi anni della dittatura militare, mi racconta, l’Argentina organizzò il mondiale di calcio. Era il 1978, il paese aveva ogni sorta di problemi, ma gli argentini furono ben lieti di abbandonarsi all’enfasi calcistico-nazionalista cui si dedicava il governo militare. Così come si entusiasmarono per l’epopea di Maradona, uomo talentuoso e sregolato, emblema dell’argentino irresponsabile. Il pallone come droga e un calciatore impigliato nella droga come idolo. Anche qui, il calcio oppio moderno dei popoli.
Eppure le strade di Buenos Aires sono animate, c’è un fervore particolare. La quantità di teatri e cinema impressiona e rende difficile scegliere. Le iniziative culturali, anche gratuite, sono innumerevoli, come le librerie, spesso aperte fino a mezzanotte. C’è un rispetto e un interesse per tutto ciò che è cultura che molti paesi non conoscono. Questa, per fare un nome, è la nazione di Borges.
E in un altro senso è impossibile non notare l’intraprendenza e la creatività che animano molti. I corsi di tango, un esempio dei più immediati, sono innumerevoli, di tutti i generi, per tutti i livelli. Si può passare una settimana frequentando ogni giorno un luogo diverso, con insegnanti e clienti diversi. Basta presentarsi davanti a una scuola o a un locale con pochi pesos in tasca. Un sistema poco strutturato e facilmente accessibile, che testimonia il bisogno e insieme l’elasticità del sistema stesso. Senza che venga meno la passione sincera dei maestri verso questo ballo sensuale. Non è solo commercio del tango, ma orgoglio e coinvolgimento: il turista, anche il più svagato, deve entrare in questo ballo, coglierne il senso oltre che la tecnica. Questa è anche la nazione di Carlos Gardel.
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