Alla fine, dopo varie peripezie, ritardi, slittamenti nelle scadenze di presentazione delle offerte per la realizzazione del ponte, la gara è stata vinta. L’Impregilo, rimasta in gara con l’Astaldi dopo il ritiro dell’azienda austriaca Sabag, si è aggiudicata il titolo di general contractor della maxi-opera prevista per lo stretto che da millenni divide Sicilia e Calabria.
Un’offerta pari a 3,88 miliardi di euro ha così fronteggiato a testa alta il bando più oneroso della storia d’Italia rivolto alla realizzazione di un’opera pubblica. Un ponte a campata unica lungo più di 3300 metri (vale a dire tre volte rispetto a qualsiasi opera simile esistente attualmente al mondo), 6 corsie (tre per senso di marcia), 2 corsie stradali di servizio, 2 binari. Per una portata complessiva di 6.000 veicoli all'ora e di 200 treni al giorno. Le associazioni ambientaliste lo chiamano ecomostro, per molti altri si tratta soltanto dell’ennesimo bluff, la maschera di un ‘buco nero’ nella spesa pubblica italiana.
Se questo ponte si farà davvero o meno, non possiamo saperlo. L’unica cosa che sembra delinearsi sotto i nostri occhi sono piuttosto tutte le ombre che il progetto si porta dietro a livello politico, giudiziario, economico e ambientale. E mentre Lunardi, ministro delle Infrastrutture, assicura che: ‘La prima pietra è prevista per l’inizio del 2006 e il lavoro sarà pronto entro il 2012’, i no al ponte aumentano.
L’imponente realizzazione del ponte sullo stretto, infatti, distruggerebbe l’intero patrimonio ecologico di una zona rinomata per la sua bellezza naturalistica, mettendo in pericolo uno dei luoghi a più alta biodiversità del Mediterraneo, invadendo ben undici aree protette riconosciute e la riserva naturale siciliana di Capo Peloro. Inoltre la costruzione sbarrerebbe una delle tre rotte migratorie più importanti d’Europa per circa 312 specie di uccelli. Non a caso Legambiente ha definito l’opera in progettazione come ‘inutile, nefasta e piena di contraddizioni’.
Anche sotto il punto di vista della sicurezza i dubbi non tardano ad emergere, specialmente per quanto riguarda i rischi sismologici e geotettonici. La zona in questione è una zona altamente sismica. Sotto lo stretto, la placca africana e quella europea si incontrano dando origine alla nota ed evidente attività vulcanica. Ma il progetto preliminare prende come riferimento soltanto i 7.1 gradi Richter di magnitudo del terremoto messinese nel 1908 e una durata massima del sisma di 30 secondi. Cosa succederebbe allora se dovesse per caso verificarsi un terremoto con magnitudo maggiore, com’è avvenuto in altre parti del mondo? E se la durata del sisma dovesse superare i 30 secondi come nel famoso terremoto dell’Irpinia?
In ogni caso, le perplessità più scoraggianti vengono dal mondo dell’economia. Infatti, che il ponte si faccia o meno le spese sono state e saranno davvero eccessive rispetto alle esigenze reali degli italiani. Soldi investiti male. Perché gli scenari di traffico previsti e gli scenari di adeguamento tecnologico non sono credibili. Perché il rapporto costi/benefici non è sostenibile. Perché spendere i 6 miliardi complessivi previsti per la realizzazione finale di un ponte megagalattico, significherebbe ignorare lacune diventate endemiche per il mezzogiorno. Una tra le tante, la condizione disastrosa in cui versa da anni la rete autostradale e ferroviaria. Inoltre il cantiere durerà probabilmente il doppio dei sei anni previsti, sottraendo ulteriormente risorse idriche a luoghi che di acqua già hanno abbastanza bisogno.
L’esempio lampante di questo pessimo modo di gestire la spesa pubblica, è la convenzione stipulata qualche mese fa tra la società Stretto di Messina spa e il governo. La convenzione impegna per 30 anni le risorse delle Ferrovie dello Stato, che pagheranno annualmente una tassa di 100 milioni di euro. Tassa destinata a crescere col passare degli anni. Tutto questo per risparmiare ‘qualche minuto’ nell’attraversamento dello stretto e cancellare dalla faccia della terra 1234 posti tra gli addetti al traghettamento.
Insomma, l’intera questione sembra soltanto essere diventata un peso per l’Italia, favorendo la concentrazione di risorse nelle mani di pochi. Lo stesso processo di gara per l’appalto è stato messo in dubbio dal WWF, che accusa le due aziende rimaste di essere collegate. L’ipotesi di un attentato alla concorrenza si fa strada anche tra le sedie di Bruxelles, dove è stato aperto un fascicolo per verificare la correttezza della gara, fatto non irrilevante considerando che il 10% dei finanziamenti proverranno proprio dall’Unione Europea.
Ora, mentre tutto sembra deciso, mentre l’ombra del ponte ci viene imposta con un sorriso, resta solo la voce della gente a gridare di non voler rinunciare, alle due sponde di quel tratto di mare, alla loro luce, ai pesci, al paesaggio che li ha visti bambini. Allora una domanda sorge spontanea, ma questo ponte per chi è?
Conoscere la terra che abiti è benessere
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