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Tra le molte teorie sulle origini delle Rune, come abbiamo visto spesso in contraddizione tra loro, una delle più plausibili, che può avvalersi di riconoscimenti archeologici, venne pubblicata nel 1928 da Mastrander e nel 1930 da Amastrong. Secondo questa teoria le Rune deriverebbero dall’alfabeto nord-italico, etrusco. Gli studiosi si basarono sul ritrovamento nel 1926 di 26 elmi di bronzo a Negau, nell’allora impero austriaco. Tali elmi presentano un’iscrizione germanica, in scrittura, però, etrusca (nord-italica): un appello ad un Dio guerriero chiamato Harigast. In effetti parecchie lettere etrusche assomigliano alle Rune. A Kitsebull, in Tirolo, sono state rinvenute delle bacchette con iscrizioni etrusche, che possono essere state usate anticamente come bacchette magiche per scopi divinatori.

È possibile che alcuni simboli, come quelli che si possono vedere ancora oggi sulle pareti rocciose nei pressi di Golling, in Valcamonica e in parecchi altri luoghi alpini, venissero usati per scopi divinatori, ancora prima dello sviluppo dell’alfabeto runico.

La nascita dell’alfabeto runico, comunque, si identifica con alcuni di questi antichi simboli che, successivamente, furono integrati con segni di scrittura derivanti da un alfabeto transalpino. Fu quindi uno dei rari momenti della storia umana in cui sia la parte analitica del cervello – situata nell’emisfero sinistro - che quella intuitiva – situata nell’emisfero destro - reagivano simultaneamente ad uno stesso stimolo: le Rune.

I luoghi di ritrovamento di reperti legati alle Rune sono sparsi per tutta Europa. La serie runica completa più antica di cui si è a conoscenza è stata rinvenuta su una pietra gotica del quinto secolo, a Kilver, nel Gotland, Svezia. Vi è anche un’altra serie antica quasi completa, originaria anch’essa della Svezia, che si trova incisa su un talismano d’oro, risalente alla metà del sesto secolo, rinvenuto a Vadstena, Ockland orientale. Su un pilone di pietra, ritrovato vicino a Breda, nei pressi di Sarayevo, e risalente alla prima metà del sesto secolo, sono conservate 19 Rune. Le prime 20 Rune, in successione corretta, sono invece incise su un bracciale della fine del sesto secolo, rinvenuto a Chiarnai, in Borgogna, Francia.

Le Rune nordiche, oltre che in Scandinavia, in Scozia e sull’isola di Mann, furono utilizzate anche in Irlanda. Recentemente alcuni scavi a Dublino hanno riportato alla luce un pezzo di legno dell’epoca vichinga, con iscrizioni basate sul nuovo alfabeto runico. In occasione della mostra per il millenario della città, nel 1988, questo reperto fu esposto al pubblico.
Nella magia popolare di tutta Europa e sui calendari contadini, noti come Rinustok e Oprimistave, le Rune erano ancora usate fino a poco tempo fa.

L’utilizzo di schegge di legno, sulle quali erano incise simboli divinatori, è documentato già da Tacito nella sua opera Germania, nel 98 d.C. Egli non menziona la parola Runa, offrendo tuttavia una buona descrizione dell’oracolo delle tre Rune. I simboli da lui citati quindi, molto probabilmente, non erano altro che i segni runici. Più tardi Venaintus Fortunatus descrive lo stesso procedimento usando il termine Runa. Come possiamo vedere con Tacito e Fortunatus, fin dai tempi più antichi le Rune erano strettamente connesse con l’oracolo e la predizione. Ancora oggi, in Scozia, per assegnare la terra, vengono utilizzate le Rune: ogni abitante del paese riceve un certo numero di appezzamenti di terreno, i cosiddetti “runnigs”, in base all’estrazione dei “runs”, o appezzamenti, attraverso la quale si determina l’attribuzione di ogni “rig”, o striscia di terra, ad ogni singola persona.

Sul continente europeo e in Inghilterra, l’uso delle Rune diminuì a poco a poco, con l’introduzione dell’educazione di stampo romano, basata su principi religiosi. In particolare durante il Medioevo, quando il Cristianesimo divenne l'elemento culturale dominante nella maggior parte dell'Europa, le Rune caddero quasi del tutto in disuso, tanto che solo in pochi sapevano ancora decifrarle.


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