Durante il primo dei questi appuntamenti, il convegno “Il Cielo e la Terra” tenutosi gioverdì 26 maggio presso la Sala Conferenze di Palazzo Marini a Roma, fra gli interventi a tutto tondo dei numerosi esperti convocati, Philippe Mayaux del Joint Researc Centre ha esposto uno studio sullo stato della deforestazione delle foreste tropicali, in collaborazione con Hans-Jurgen Stibig (JRC).
“Sebbene sia nota da tempo l’importanza delle zone umide tropicali”, afferma Mayaux, “sono ancora pochi i dati certi sulla sua reale estensione e stato di conservazione”. A tal proposito, sono stati sviluppati due programmi di rilevamento satellitare, il FAO – Forest Resource Assessment 2000, e l’EC TREES-II, in grado di rilevare con un buon margine di sicurezza la situazione dinamica delle rain forest.
È stato calcolato che nel 1990 la superficie delle foreste tropicali fosse di circa 1,15 miliardi di ettari. Secondo questo studio (difficilmente contestabile, trattandosi di foto da satellite e non di supposizioni), è stata calcolata una media di 5,8 milioni di ettari di foresta persi ogni anno, un’area grande approssimativamente due volte il Belgio. Risultati del genere corrono il grave rischio di apparire irreali: non bisogna pensare a rettangoli di terra grandi quanto il Belgio che scompaiono sotto gli occhi di tutti, ma a piccolissimi frammenti che, sparsi qua e là nel mondo, scompaiono senza che neanche ci facciamo caso. Basti pensare che la foresta tropicale più estesa è la foresta Amazzonica, che conta “solo” 370 milioni di ha, apparentemente un’inezia in confronto all’estensione globale.
Tuttavia, il ritmo è talmente elevato che ormai almeno 2,3 milioni di ha persi ogni anno non riescono più a passare inosservati: sono i frammenti definiti “irrimediabilmente degradati”, in seguito a deforestazioni di massa dovute soprattutto alla costruzione di grandi strade, come accade in Congo e Ghana, o per far spazio alle monocolture, ed è il caso di Brasile, Malesia, Sumatra e Borneo.
Proprio il sud-est Asia risulta, con un tasso di perdita annuale fra lo 0,8 e lo 0,9%, il paese più colpito. Il sud America non è da meno (circa 0,5%), ma il dato è diluito per l’estensione delle foreste, e l’Africa ha il suo stesso tasso, ma foreste molto più piccole (e quindi molto più in pericolo).
Per non parlare delle meravigliose foreste di mangrovie, che ospitano specie animali e vegetali fra le più particolari al mondo. Soprattutto per colpa dell’allevamento dei gamberetti, il tasso di deforestazione qui è circa doppio rispetto a quello delle foreste tropicali canoniche: dai 19,8 milioni di ha negli anni ’80, lo studio di Mayaux e Stibig ha rivelato una diminuzione fino a 15 milioni di ha. La giusta decisione di molte nazioni di vietare la conversione delle foreste di mangrovie in campi d’allevamento per gamberetti, ha permesso che, negli anni ’90, il tasso di deforestazione si fosse addirittura dimezzato rispetto al decennio precedente. Quindi una speranza c’è, basta metterci l’impegno.
“Un monitoraggio continuo della dinamica delle foreste è di importanza essenziale per permetterne la conservazione, soprattutto a causa dell’assenza di un’adeguata rete di aree protette,”, afferma Mayaux: “Per questo, tuttavia, è necessario rendere disponibili riprese satellitari a prezzi meno proibitivi di quelli attuali, seguendo l’esempio di Conservation International e Birdlife International, che attualmente sta testando il metodo su oltre 1200 IBA – Important Bird Areas”.
Conoscere la terra che abiti è benessere
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