4 episodi sul mondo poliedrico e incredibilmente sfaccettato del calcio (Meglio di Maradona, La donna del Mister, Balondor, Il terzo portiere) firmati da 4 registi esordienti, ex allievi del Centro Sperimentale di Roma (Michele Carrillo, Claudio Cupellini, Roan Johnson, Francesco Lagi), e 2 sceneggiatori costanti per ciascun episodio (Paolo Virzì, anche produttore, e Francesco Bruni). Appunto 4-4-2, che poi oltre ad essere la squadra che ha dato il via a questa operazione insolita, è anche come si sa il più classico dei moduli calcistici.
Non si tratta come si potrebbe pensare pregiudizialmente di un film per un pubblico prettamente maschile, fatto solo per esperti che parlando il codice del linguaggio calcistico, ma di un’operazione produttiva assai interessante. Virzì, padre spirituale di questo film collettivo, ha pensato di mettere insieme delle storie che soprattutto e innanzitutto ruotano intorno ad un mondo che in Italia rappresenta un denominatore comune di tutti, sia direttamente che indirettamente. Storie di uomini e donne, anziani e bambini, di rapporti generazionali e di confronto con la delusioni cocenti.
Ottime le prestazioni di tutto il variegato cast: spiccano le performance dei due attori bambini, talenti in tutti i sensi, e di Valerio Mastandrea che recita con cadenza toscana, lui che è un romanaccio verace: veramente bravo; migliora sempre di più dopo l’eccellente interpretazione drammatica di un paio di anni fa nel film di Guido Chiesa Lavorare con lentezza. Infatti contenutisticamente l’ultimo episodio – il terzo portiere – quello con l’attore romano appunto, è il migliore; da un mero punto di vista registico quello più intraprendente è il secondo – La donna del mister –.
Il film è costato relativamente poco (circa un milione e mezzo di euro) considerato che si tratta di quattro cortometraggi di circa 25 minuti l’uno, per nulla legati tra loro in merito ai personaggi o alle trame, ma ideologicamente tenuti assieme da un medesimo filo comune, in virtù anche del fatto che ogni episodio è co-sceneggiato dall’accoppiata Virzì/Bruni, già insieme per due recenti pellicole dell’acclamato regista toscano (My name is Tanino, Caterina va in città).
Il film può contare sulla distribuzione di Medusa in ben 80 copie, e chissà che non diventi un caso come è stato un altro esordio, ossia Notte prima degli esami (già a quota oltre dodici milioni di euro); a maggior ragione che del tutto casualmente il film esce nel pieno dell’esplosione eclatante del cosiddetto caso di Piedi Puliti. Tant’è che il film è sì una commedia, ma lo è nelle sue maglie larghe, perché a scendere bene nella tessitura di ciascuna storia ritroviamo il meglio della lezione della commedia all’italiana, quella che sapeva ben miscelare amarezza e ilarità, improvvisazione e arte dell’arrangiarsi.
Pertanto tutte le storie contengono tanto un filo di critica polemica e di pacato sarcasmo che una venatura di speranza minimalista, anche se quest’ultima è a volte un po’ troppo zuccherina e già vista. Va detto che ogni storia potrebbe essere un film a sé, ma probabilmente sarebbero state delle vicende abbastanza scontate se gonfiate a lungometraggio, perciò nella loro forma ridotta si lasciano guardare con simpatia, alla luce anche del ritmo incalzante che mantiene il film, sempre sopra le righe. Quel tanto che basta, insomma, per non annoiarsi e non avere il tempo di riflettere su taluni – e forse anche inevitabili visto l’argomento – cliché.
Amare l'arte è benessere
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