Su un peschereccio a largo dalla costa vive un anziano uomo, che suona un arco, abile anche nello scoccare le frecce. Il suo lavoro è quello di ospitare turisti della pesca che egli con un’altra imbarcazione più piccola va a prendere dalla terraferma. Con lui vive una ragazza di diciassette anni che egli ha trovato ancora infante e che il giorno del suo diciottesimo anno di età prenderà in sposa.
Il film è l’ennesima conferma dei temi cari al regista coreano. Oltre a ritrovare le tipiche stilizzazioni caratteriali e circostanziali del cinema dell’Estremo Oriente, abbiamo il topos del mondo ridotto ad una realtà sempre più piccola inserita in un contesto infinito. Per Kim Ki-duk lo spazio è sempre così duale, c’è sempre questa differenza di potenziale tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo: ossia uno sfondo infinito, emblema dell’animo umano e delle sue enormi potenzialità spirituali, e una superficie delimitata, che presto si rivela un ostacolo opprimente come la fisicità corporea percepita a mo’ di vincolo dai protagonisti. Da questa tensione spaziale nasce il racconto.
Questo significa sviluppare la storia secondo una presa di coscienza: si parte da una situazione già avviata che ha un suo equilibrio seppure al limite della ragionevolezza, quindi c’è la rivelazione di una volontà di fuga, e infine la ricomposizione del tutto mediante una redenzione che annulla le divergenze. Questo è il canovaccio che innesca la maggior parte delle narrazioni dei film di Kim Ki-duk, da L’isola a Ferro 3, fino a quello che continua a restare il suo film migliore, Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora Primavera, della dozzina di titoli realizzati.
Questo è un film minore che comunque non rinuncia alla grazia di un’abile maestria a gestire i pochi spazi (vi è solo il peschereccio e la barca e l’oceano tutto intorno per tutta la durata del film) e i pochi personaggi (il vecchio, la fanciulla, il bel giovane). Ci troviamo di fronte ad un film che ha la tipica essenzialità degli aneddoti, delle storie esemplari, delle fiabe con una morale.
Il film si lascia vedere anche perché è animato dalla tensione del mutismo del vecchio e della ragazza, i quali per tutto il film non emettono una parola e pertanto, comunicando soltanto con le loro azioni, inevitabilmente generano una certa suspance, non svelando mai le loro intenzioni fino al manifestarsi dei rispettivi gesti.
L’atmosfera è creata sostanzialmente dalla musica, reiterata e sempre la stessa, affascinante ed evocativa. C’è del vero genio comunque in un regista che sa scrivere e dirigere delle storie così, in cui tutto parte da pochissimi elementi e riesce nonostante ciò ad intrattenere e a suggerire emozioni penetranti.
Amare l'arte è benessere
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