Daniela Mazzoli: due ore liete
Sta per iniziare la proiezione dell’ultimo film di Wim Wenders nella sala del Nuovo Sacher, a Roma, mentre all’ingresso si accalcano già gli spettatori delle 22.30. Al botteghino i biglietti sono esauriti e qualcuno è rimasto fuori.
Nanni annuncia il prossimo arrivo del regista e ricorda con una serie di calcolati ‘mi pare’ i titoli dei suoi film più famosi. Quando Wenders prende la parola scorre tra le file rosse delle poltrone una certa emozione, l’ansia di una frase storica da riportare a casa in ricordo. La frase storica invece non viene pronunciata, Wim promette solo che passeremo due ore piacevoli: “you’ll have a nice time”.
E conclude dicendo che questo è il film che avrebbe sempre voluto girare: una storia western ma anche una storia d’amore, un film sulla famiglia, una commedia mischiata alla tragedia. Insomma ci ha messo tutto e ce l’ha messa tutta.
Alla prima inquadratura si capisce benissimo che di western lui se ne intende: c’è tutto il linguaggio del genere, l’ampiezza degli spazi che è insieme dilatazione del tempo, tipica dell’epica del West.
Due buchi nella roccia gialla delle montagne sono appena l’emblema dell’occhio cinematografico, dello sguardo che osserva la storia, del punto di vista privilegiato da cui stiamo per spiare il dramma. Un uomo solo al centro del nulla, in mezzo a un deserto in cui disperare la salvezza o il conforto di una presenza umana: ma stavolta non è un vero cowboy. Si tratta di un attore che abbandona il set, un uomo a cavallo con speroni e cappello sul viso che ha smarrito il senso della propria vita e prova a rintracciarlo nell’unico modo che conosce: la fuga.
Il film è davvero un intreccio senza pause di motivi e di avvenimenti, in un tempo lunghissimo e assai lento in cui ha occasione di esprimersi bene la faccia ruvida e virile del protagonista. Un uomo come molti, un attore come tanti che sull’onda del successo si è sottratto alla vita reale e ha trovato scampo nella droga e in relazioni sessuali. “Ma perché hai aspettato che passassero trent’anni?” gli chiede la figlia appena ritrovata. “Perché non me ne sono accorto, mentre passavano”, risponde lui asciutto con la voce di uno che sa cosa vuole dire ‘aver perso’.
Un amore di gioventù e un altro figlio: pure questo ritrova il famoso attore, e una madre che non perde la pazienza e non offre lezioni di vita, ma solo consigli e biscotti caldi.
Forse qualcuno vedendo questo film penserà che ogni concetto espresso era in fondo un’idea già nota, che non aggiunge nulla ai capolavori di Leone e allora tanto vale vedere una pellicola di Tarantino che confonde davvero i generi, creando un prodotto provocatorio e originale. E magari –se pensasse questo- avrebbe anche ragione. Ma cosa si può chiedere di più a un regista che di mantenere le promesse appena formulate?
Wenders aveva detto che avremmo passato due ore liete. E così è stato, le abbiamo passate. Il resto è questione di gusto. E sui gusti, si sa, non è lecito disputare.
Lorenzo Corvino: il peggior film di Wenders
Probabilmente il peggior film di Wenders. Se Crimini invisibili aveva almeno un senso di inquietudine, per certi versi anticipava l’epoca dei grandi fratelli televisivi ed aveva comunque quel grande tratto inconfondibile della cifra stilistica di Wenders: l’atmosfera al limite del surreale. Così pure dicasi per il grottesco Million Dollar Hotel, fumettistico e accattivante, persino, questo sì, esilarante in talune sequenze.
|
|