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LAST DAYS
REGIA: Gus Van Sant
CON: Michael Pitt, Asia Argento, Lukas Haas
USA 2005
DURATA: 85 minuti
GENERE: drammatico

Lorenzo Corvino

Un gruppo di giovani musicisti vive in una casa-castello sperduta in mezzo ai boschi. Le loro giornate sono riempite da musica e stupefacenti, alcool e sesso con giovani fanciulle disponibili a svolgere un ruolo di pura compagnia. Tra questi musicisti ve ne è uno, Blake, evidentemente il leader, se non addirittura il mentore, sebbene giovanissimo e imperscrutabile. Dietro il suo fare taciturno e sempre più alienato, si nasconde un disagio difficilmente descrivibile. I suoi compagni ormai neppure insistono nel tentare un contatto. Sanno che gli ultimi giorni della sua vita si stanno velocemente consumando.

Gus Van Sant dice che la figura di Blake si ispira a Kurt Cobain, scomparso nel 1994. Tuttavia dice pure che si tratta di un’opera d’invenzione, non un bio-pic dunque, ma una fantasticheria. A ben vedere il film è già un aldilà. Non c’è una vera progressione, ma tutti i personaggi sono già stati traghettati in un limbo che attende il giudizio ultraterreno.

Un film situazionista, dove non c’è da cercare la chiave risolutrice della trama, non c’è da sperare in un finale che dia soddisfazione, né un’indagine introspettiva. Tanto meno esso si offre come occasione di riflessione sulla natura umana o sulla solitudine. Esso è semplicità, assenza di ritmo e tempo comunicati con pacata indifferenza, senza nessuna sovrastruttura interpretativa. Tutto è uno scorrere di tempo, un flusso interrotto soltanto da tagli di montaggio non indispensabili, che potevano arrivare cinque fotogrammi prima come due minuti dopo per ogni inquadratura.

Non c’è una narrazione per immagini consueta, in cui la successione delinea dei rapporti umani; non ci sono delle tradizionali alternanze tra un primo piano e un altro durante le sporadiche conversazioni più o meno sensate dei protagonisti. Tutto il film è un lungo interminabile prologo di un film che non ci sarà.

Da questo punto di vista come operazione cinematografica non è del tutto priva di senso, quasi a cercare la giustapposizione come criterio che fonda il film, senza la dittatura di una linearità della vicenda. Il grado zero che un tempo apparteneva al cinema pionieristico oggi viene riscoperto con questa scelta molto personale, persino egoistica ed egocentrica del regista, il quale sceglie di proposito di voler fare un film per se stesso, scevro da quelle restrizioni e costrizioni dell’intrattenimento, dell’impegno o dell’intreccio.

Alla terza inquadratura (il film, che dura un’ora e trenta circa, conta circa 112 stacchi, quando la media per un film di uguale durata è di 400-600 stacchi) si vede il protagonista Blake attraversare un fiume da una sponda ad un’altra, mentre le sue acque scorrono veloci e con fragore intenso: lo fa con la serenità di chi ha già vissuto tutto e sta semplicemente vagando senza una meta. Quest’inquadratura è l’essenza del film.

Un film così, che non giudica il contenuto che mette in mostra, semmai il contenitore-cinema medesimo, non sarebbe neppure giusto a sua volta giudicarlo con la veemenza di una critica distruttiva o al contrario con il fervore di un entusiasmo intellettualoide.

Occorre semplicemente capire, per chi volesse andarlo a vedere, se si è disposti a guardare un film che un uomo ha realizzato soprattutto per sé, oppure, al contrario, se questo tipo di operazioni le si evita in partenza per non dormire poi in sala. In tal caso meglio evitarlo.



(07/06/2005) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

  
  
 
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