Sandro è un ragazzo sveglio, intelligente e discretamente altruista, figlio di un imprenditore e di una madre affettuosa. La sua normalità di benestante viene infranta nel momento in cui incontra in circostanze fuori dal comune due ragazzi clandestini, poco più grandi di lui e meno fortunati. Come aiutarli diventerà il suo scopo nella vita.
Marco Tullio Giordana ha avuto l’onore di rappresentare l’Italia a Cannes quest’anno con questo titolo, nella sezione del concorso, in cui spiccano molti nomi di interesse internazionale. Di recente è diventato l’autore italiano più rappresentativo all’estero grazie ai due successi consecutivi di pubblico e critica, I cento passi e La meglio gioventù. Più di Tornatore che manca dagli schermi da cinque anni, o di Salvatores che nonostante la voglia sempre viva di sperimentare e fare film diversi non riesce più ad essere in sintonia col grosso pubblico come gli riusciva nei primi anni Novanta.
Giordana sceglie, sì, di raccontare una storia con protagonista un bambino in procinto di entrare nella difficile fase dell’adolescenza, tuttavia evita di camuffare la visione con la prospettiva del ragazzo, legando la resa degli eventi al suo giovane punto di vista; sceglie invece di mostrare la realtà per quella che è, anche se a viverla non sono gli occhi di un adulto. Sandro infatti ci viene mostrato subito come una persona matura che comprende come funziona il mondo, osservatore attento che vuole anche interagire di suo pugno con la realtà che non accetta.
Quel che il film non approfondisce è invece la natura introspettiva dei due ragazzi clandestini. Il film infatti si arresta spesso tutte le volte in cui occorrerebbe dare un approfondimento del mondo estraneo, nuovo che non conosciamo. Ma pare evidente che questa scelta venga fatta dagli sceneggiatori – la coppia Rulli e Petraglia con Giordana – con l’intento di evitare di scadere nello stereotipo del buon selvaggio o del cattivo emigrante, ladro e parassita, per non dire cose che non si ha il tempo di approfondire, per non dover dare giudizi affrettati o semplicistici.
Non è tanto un film politico sulla questione degli immigrati e sulle leggi che regolano nel nostro paese la delicata faccenda sempre attuale, né un film che racconta un caso particolarmente emblematico di immigrati clandestini in cui le circostanze sono talmente fuori dal comune da porre lo spettatore dinanzi al dubbio su cosa sia giusto fare o non fare. Si tratta semplicemente dello scontro di due mondi, uno dei quali è quello di Sandro che conosciamo bene, che poi è il nostro, e che viene sconvolto dall’irrompere di questo universo: la clandestinità siamo abituati a vederla in televisione, ma di fronte al fatto compiuto di averla direttamente in casa nostra non sappiamo quanto ci possiamo scoprire incapaci di comprendere. Come reagiremmo, è la domanda. E poi il film non dice altro.
Purtroppo oltre non si va. Tutto, come detto, si ferma un passo prima di dire quel che non sappiamo ancora. Non è tanto la costruzione del finale senza spiegazioni a lasciare insoddisfatti. Anzi questa scelta è la migliore del film poiché ci dice che non conta tanto il perché sia successa una tale cosa, non conta saperlo per avere una ragione contro cui scagliare la nostra riprovazione, quanto il fatto che succede, che certe orribili cose sono quotidiane e nessuno riesce veramente a trovare un rimedio valido.
Ed è qui che diventa politico il film: non nei confronti della contingenza di singole leggi, ma verso la complessità di un sistema che permette certe derive, prima ancora di giudicare valido o meno qualsiasi tampone legislativo, perché tanto pagano sempre i più deboli che non hanno voce per ribellarsi, a cui non riesce neppure di ferire i sentimenti di qualcuno, senza poi subire per ineluttabilità della sorte, dieci volte di più la violenza inferta.
Amare l'arte è benessere
|
|