L’uomo, una volta, concepiva il fluire del tempo alla stregua di un Uroboros, vale a dire il Serpente che si morde la coda, simbolo dell’anno che perpetuamente si rinnova mangiandosi via via l’anno vecchio, ovvero la “coda”.
Il senso di circolarità che l’uomo aveva dell’anno è ben espresso anche dalla parola “anno”, dal latino annus, “circolo”, e annulus, “anello”. Annus è quindi l’anello del tempo.
Ma dove e quando il Serpente si morde la coda? Ovvero, quando finisce un anno e ne inizia un altro?
Nei paesi occidentali la morte e la rinascita dell’anno è fissata convenzionalmente alla mezzanotte del 31 dicembre, ma non è sempre stato così. Ad esempio, in Inghilterra e in Irlanda fino al 1572 il Capodanno si festeggiava il 25 marzo; in Spagna fino al 1600 era fissato al 25 dicembre; in Francia, sino al 1564, alla Domenica di Resurrezione, mentre a Venezia il Capodanno coincideva con il 1° marzo ancora nel 1797...
Nella Roma arcaica, nel calendario attribuito a Romolo, l’anno iniziava in primavera, nel mese di marzo.
Secondo la tradizione, infatti, a detta di Ovidio e Plutarco, al tempo di Romolo (VIII secolo a.C.) l’anno romano (di 304 giorni) era diviso in dieci mesi (6 mesi di 30 giorni e 4 di 31) dei quali il primo era Marzo (dedicato al dio Marte) e l’ultimo Dicembre (dal lat. december, da decem, “dieci”).
I nomi dei mesi corrispondevano a quelli attuali, ad eccezione di Gennaio (dedicato a Giano) e di Febbraio (dal lat. februare, “purificare”) che – sempre stando alla leggenda – vennero inseriti dal secondo Re di Roma, Numa Pompilio, quando riordinò il calendario portando l’anno a 355 giorni ripartiti in dodici mesi.
Lo stesso Plutarco, però, avanzava dei dubbi sulla ripartizione originaria dell’anno in dieci mesi osservando che sebbene Luglio in origine si chiamasse Quintilis, “Quinto”, ciò non indicava necessariamente che Dicembre fosse l’ultimo mese dell’anno. Comunque sia, la differenza di circa 10 giorni fra l’anno solare e quello lunare di Numa Pompilio a lungo andare creò un enorme distacco fra il ciclo stagionale e quello civile-religioso: i Saturnali, ad esempio, finirono con l’essere celebrati in piena estate! Così, nel 46 a.C. Giulio Cesare – con la collaborazione dell’astronomo alessandrino Sosigene e di Marco Flavio – attuò un’ulteriore riforma del calendario che s’impose in tutto il mondo romano per l’ordine, la razionalità e l’efficienza che lo contraddistingueva.
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