Il disco si pone nel solco dell’esperienza maturata in questi ultimi anni. Se “che cosa vedi?” era il primo disco della maturità di Godano e soci, “senza peso” e ora “bianco sporco” rappresentano la prosecuzione di quel percorso artistico approfondendo una poetica lirica e musicale tra le migliori in Italia.
Il disco presenta poche novità per chi non conosce i Marlene. L’unica grande news è l’inserimento delle linee di basso di Gianni Maroccolo, già presente indirettamente nella carriera artistica dei Marlene, che ora s’innestano sul terzetto piemontese (voce-chitarre-batteria) e su un set i archi, guidati da Rob Ellis, che hanno raggiunto la perfetta fusione con le sonorità tipiche dei Marlene.
Maroccolo cerca di re-interpretare lo stile dei Marlene, a cui comunque è sempre stato vicino, anche se il rapporto basso-chitarre potrebbe suonare un po’ strano per qualche fan troppo ortodosso dei Marlene.
Il disco è fatto di undici pezzi giocati su sonorità abbastanza omogenee tra loro fatte di tinte fosche e pesanti che hanno il gusto di non prendersi troppo sul serio e diventare leggere e soffici quando lo desiderano. Il risultato è probabilmente meno d’impatto di altri dischi, anche se gli ultimi due pezzi (“La cognizione del dolore” e “nel peggio”) sembrano omaggiare le radici più potenti e “massicce” dei Marlene.
Il disco si apre con due pezzi fortemente negativi come “mondo cattivo” e “a chi succhia” connotati da una rabbia mista a sconforto che, tuttavia, non cade mai nell’incazzatura punkettona.
Il registro poetico spazia tra il manierismo di “bellezza” o il decadentismo (francofilo) di “amen”. Sorprende di Godano lo sperimentare delle atmosfere più solari con testi positivamente romantici mischiati con sonorità che hanno l’incredibile capacità di alleggerirsi e spiccare il volo.
Succede con “la lira di Narciso” che, probabilmente, rappresenta il pezzo di maggior spessore dell’album. Personale preferenza merita “il solitario” nella quale Godano si cimenta con la ritrattistica, col disegno di un personaggio di cui tratteggia le profondità psicologiche con incredibile maestria (che sia un autoritratto?).
Infine, c’è spazio anche per una citazione a se stesso ed una più letteraria: in “nel peggio” Godano riprende e rielabora la canzone “deriva finita” che aveva inserito nell’album A.C.A.U. di Maroccolo. La seconda citazione è riservata invece a Gadda ed al suo romanzo “la cognizione del dolore” che rappresenta l’occasione per i Marlene di recuperare le loro radici più rudi.
Nel complesso è un disco difficile, che raramente scalerà le classifiche o conquisterà nuove fette di pubblico, anche per l’assenza di un singolo facilmente orecchiabile com’era stata “la canzone che scrivo per te”.
Sicuramente è un disco che non deluderà chi già segue i Marlene che potranno trovare l’avanzamento di una carriera artistica connotata da una fortissima identità grazie al carismatico leader Cristiano Godano.
Forse il disco manca di nuove intuizioni particolari, ma dato il risultato è difficile farne una colpa.
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