Uno studio della BBC ha dimostrato che le tigri tenute in cattività negli USA fra circhi, zoo e privati, sono circa il doppio di quelle libere nel loro habitat, rispettivamente 10.000 e 5.000 esemplari. In pratica, mentre noi europei teniamo in braccio il gattino tigrato, gli statunitensi tengono una tigre come gattino.
L’indagine della BBC è partita dopo che la polizia newyorkese, entrando in un appartamento al quinto piano di un palazzo, si è trovata di fronte a due tigri, un alligatore, due rottweiller, un coniglio ed una tarantola. I quali, ovviamente, erano armoniosamente insieme a guardarsi una soap. Il proprietario di questo “giardino dell’Eden” in miniatura, tale Antoine Yates, ha dichiarato che il suo intento era solo quello di creare un’Utopia metropolitana, “un luogo dove tutti possano avere un fratello e vivere in pace”. Il problema è che una delle tigri di Antoine non la pensava nello stesso modo, e lo ha mandato all’ospedale (da cui è stata fatta la segnalazione alla polizia) dopo avergli espresso il suo parere contrario.
La cosa che stupisce maggiormente è che questi casi, negli USA, non sono estremismi. Negli ultimi cinque anni più di 100 persone sono state ferite da tigri, un numero davvero troppo elevato. Le trasmissioni televisive e gli status-symbol che vengono proposti dalla televisione statunitense – e non solo (basti pensare alle tigri di Las Vegas) - spingono sempre più verso una forma di machismo estremo che si manifesta spesso attraverso la cattività di grandi predatori. Chi tiene questi animali in gabbia o dentro casa, trattandoli come fossero trofei per dimostrare la propria virilità, ottiene ovviamente l’effetto contrario. Da questo punto di vista, l’Utopia di Antoine Yates sembra perfino una bella idea.
Il ricorso alla legge, in questi casi, è piuttosto blando: la legislazione USA lascia molto a desiderare al riguardo ed è, se non addirittura inesistente, quantomeno molto permissiva (certo non al punto da lasciar creare un “Eden” in una palazzina di New York). Secondo Will Travers, direttore della Born Free Foundation, questa è solo una conseguenza della leggerezza con cui vengono distribuite le armi negli Stati Uniti: “Se si permette a milioni di fucili di circolare fra la gente, chi impedirà a qualcuno di tenersi una tigre in casa?”.
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Le tigri tenute in cattività negli USA non finiscono tutte negli appartamenti. Vecchi esemplari un tempo utilizzati in circhi o tenuti negli zoo, a volte vengono lasciati “liberi” in terreni da caccia di minimo 10 acri, dove ricchi cacciatori possono pagare per portare a casa il loro trofeo del coraggio. È vero che la stessa cosa accade in alcune zone del Sud America e dell’Africa, ma sapere che si tratta di una pratica in voga anche in un paese che si proclama così civilizzato come gli Stati Uniti, fa un certo effetto.
Anzi...recentemente il governo USA, contravvenendo a convenzioni vecchie di 30 anni contro il traffico illegale di specie protette, ha permesso l’importazione di animali, e parti di essi, appartenenti a specie protette non appartenenti agli Stati Uniti (non danneggia casa propria).
Questo significa commercio libero da parte di circhi, laboratori scientifici, negozi di animali, o che un cittadino può acquistare un bracciale d’avorio o la testa di un rinoceronte da appendere sul caminetto. Secondo la stessa amministrazione, “molti soldi sono coinvolti in questi traffici, e possono essere riutilizzati per incrementare le misure conservazionistiche”. Risulta difficile pensare che chi ha fatto questa affermazione, ed i parlamentari che hanno approvato la legge, fossero sobri al momento della votazione.
Ma non tutte le notizie sono negative: nel Novembre 2004, la Casa dei Rappresentanti degli USA ha votato all’unanimità un disegno di legge per impedire il commercio di animali esotici pericolosi. La legge deve essere ancora approvata dal Senato e dal Presidente Bush, ma lo schieramento favorevole è stato schiacciante. Quindi il commercio delle tigri, di altri grandi felini, coccodrilli ed altri predatori dovrebbe essere vietato.
Almeno per questo, incrociamo le dita e staremo a vedere.
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