In Europa e nel resto del mondo, l’Italia è leader nella produzione di biologico con quasi 50 mila imprese impegnate nella coltivazione di 1 milione e 170 mila ettari destinati a foraggio, cereali, olivi, viti, agrumi, frutta, ortaggi e all’allevamento di bovini, pecore, capre, maiali, polli, conigli e api.
Secondo un’indagine Coldiretti-Ispo, otto italiani su dieci acquistano alimenti biologici, ma l’importanza che sta riscuotendo questo settore, è evidenziata soprattutto dal fatto che dallo scorso anno la voce “biologico” è entrata a comporre il paniere Istat.
Ma siamo sempre sicuri che ciò che acquistiamo come biologico sia prodotto nel nostro paese e non arrivi invece dall’estero? E’ in agguato infatti il problema del “biologico taroccato”, ossia l’arrivo di alimenti “bio” privi di etichetta, provenienti da paesi come il Kazakistan, la Cina e la Mongolia.
L’arrivo dei prodotti “bio” dall’estero e privi di tracciabilita’ mette in allarme sia i consumatori che i coltivatori italiani. I primi non potranno più sapere se ciò che stanno acquistando sia prodotto in Italia o importato dall’estero e i secondi vedono vanificarsi tutti gli sforzi fatti per differenziare i prodotti tipici nostrani da quelli esteri.
A differenza di Francia, Germania, Austria, Belgio, Svizzera, Olanda, Svezia e Danimarca, in Italia non è stato ancora individuato un marchio collettivo per distinguere le produzioni biologiche nostrane da quelle estere.
Oggi, per essere sicuri di acquistare un alimento biologico prodotto in Italia, bisogna fare attenzione alla confezione, che deve riportare uno dei 20 marchi delle aziende autorizzate al controllo di coltivazioni biologiche.
Un altro problema è rappresentato dai prodotti che vengono importati dall’estero e trasformati in Italia. Quest’ultimi infatti possono porre in etichetta il marchio europeo pur essendo coltivati in altri paesi, come Argentina, Costa Rica, Nuova Zelanda, Israele e molti altri ancora.
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