Una delle istituzioni di scambio artistico - culturale più apprezzate in Italia, il Padiglione di Arte Contemporanea di Milano, ospita Spazi Atti - Fitting Spaces, una mostra sulla trasformazione dei luoghi.
Spazi, i luoghi, atti, nel senso più ampio del termine, idonei, adatti, o, come sostantivo, risultato di una volontà, di un’emergenza interiore, di un sentimento, l’effetto di un moto che percorre il dentro e il fuori, una gestualità.
La mostra è curata da Jean Hubert Martin e da Roberto Pinto, i quali hanno pensato a Milano come luogo eletto per un genere di esposizione rivolta allo spazio e alle sue potenzialità. Milano diventa, quindi, sia luogo in cui realizzare l’evento, sia città attorno alla quale ruotano i 7 artisti, cui sono state commissionate le opere a tema.
Milano è “figlia” di una lunga tradizione artistica, che ha avuto come centro d’ispirazione la trasformazione degli spazi, questo non solo in ambito artistico, ma nel suo stesso manifestarsi in qualità di spazio abitativo e di incontro. Capitale della moda e del design, il suo apparire viene espresso al meglio attraverso un rapporto di scambio tra bello e funzionale, tra utile e creativo, tra essere e continuo divenire. Milano, così Pinto e Martin, si presenta maggiorente uniforme e omogenea a uno sguardo d’insieme, meno “capricciosa” di altre città italiane, sembra essere attraversata da una medesima “tonalità”. Lo spazio che meglio la rappresenta non è la strada, ma quello interno, la corte, i salotti, il privato, l’intimo.
Nell’ambito della mostra Spazi Atti, l’opera d’arte viene vissuta come mezzo attraverso cui fare dialogare pubblico e privato. Riferimento imprescindibile è Lucio Fontana, artista che tra i primi ha invitato lo spettatore a percorrere l’ opera, ad usarla, senza più doversi confrontare con un’immagine simbolica. L’opera d’arte in tal modo diventa parte totale dell’esperienza del fruitore. Si crea una condivisione di visioni “intime”, “emotive”,”affettive”, tra artista e spettatore, che arricchisce il paesaggio interiore dell’individuo, trasformando e amplificando la realtà in cui vive, lo spazio fisico.
L’arte allora diventa un gesto, una volontà di ri-creare spazi in cui la percezione è la categoria primaria di conoscenza. L’udito, l’olfatto, la vista sono, infatti, i protagonisti degli ambienti spaziali creati per “Fitting Spaces”, come lo sono, molto spesso, anche nella interazione inconscia tra noi e l’”altro”.
Seguendo un doppio percorso interno – esterno, la mostra si dilata dall’ambiente dentro il museo, a quello intorno al museo.
L’opera di Patrick Tuttofuoco, ad esempio, visibile solo di notte, circonda lo spazio antistante il PAC, illuminando delicatamente gli anfratti bui dispersi tra i rami degli alberi dei Giardini Pubblici.
Massimo Bartolini, invece, agisce sull’olfatto, attraverso la vicinanza di due ambienti che, uniti da una porta girevole, disorientano coloro che li percorrono, dal momento che le due stanze sono identiche, eccetto che per l’odore posseduto dall’una o dall’altra, di terra e di gelsomino.
Una gigantesca sfera di plastica trasparente, invece, impedisce l’accesso a un paesaggio sullo sfondo dipinto di bianco, come una sorta di gigantesca bolla di sapone, che nel sogno può diventare reale e abbastanza densa da impedire di attraversarla. Luca Pancrazzi ci mette di fronte a qualcosa di onirico nell’apparenza e di estremamente fisico nella realtà. Il contrario fa invece, Loris Cecchini, che utilizza la forma di un oggetto solido, la roulotte, che diventa oggetto onirico perché costruito con plastiche trasparenti, dalle superfici che richiamano un mondo organico e metamorfico, un paesaggio lunare o l’interno di un vulcano. Le luci che attraversano queste sculture fanno vivere ombre e figure che percorrono lo spazio circostante in una sorta di viaggio in realtà parallele.
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Di altri mondi parla anche Mario Airò con la sua musica delle stelle, le sue immagini, gli oggetti che mostrano una delle possibili vie dell’anima. I suoni vengono utilizzati anche da Marzia Migliora, ma in maniera differente. Il suono della Migliora ti avvolge interamente, violentemente, obbligandoti a utilizzare solo l’udito. Il suo suono non dilata l’immaginazione, ma la concentra, la porta dentro, in profondità. Come se la forza del suono fosse un vettore che da fuori indica il dentro, una freccia che percorre il corpo e costringe a rifugiarsi nell’intimo spazio dell’intangibile e dell’infinito.
Estremamente interessante, estremamente d’attualità questa mostra che ci parla di spazi, proprio oggi, in questo difficile momento storico, dove lo spazio è simbolo di potere, oggetto di desiderio. Dove non si riesce a parlare di interazione, senza permeare il concetto di senso di contaminazione. Dove ci si chiude in casa per paura, dove lo spazio fisico a disposizione è sempre più ridotto, mentre si aprono nuovi canali “astratti”, che dobbiamo imparare a percorrere. Roberto Pinto parla di un’emergenza, di una necessità nel mostrare un differente punto di vista nel vivere lo spazio, dentro e fuori, della necessità di scambio intimo, emozionale, affettivo, non parlato, dove la mente non interagisce, ma in cui è il nostro più profondo sapere ad agire, la percezione, attraverso cui la vita fluisce semplicemente, “fa”, in cui i sensi non sono altro che un atto sapiente di volontà di conoscere.
Un importante contributo da parte dell’arte per vivere con apertura e coscienza la nostra difficile ed intensa contemporaneità.
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