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VENERE ERA BRUTTA? CANONI CHE CAMBIANO...
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Preoccupata di restare giovane, gelosa e invidiosa della bellezza delle comuni donne mortali, costretta a ricorrere a magici trucchetti per essere sempre irresistibile... la Dea dell’Amore non era poi così affascinante come emerge da un ormai consolidato immaginario collettivo.
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di Donatella Cerulli
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Ancora oggi, in tempi di dichiarata emancipazione femminile, qualche nostalgico “pappagallo” romano, alla vista di una bella ragazza, non riesce a trattenersi dall’esclamare estasiato «Sei ‘na fata!» o «Sei ‘na dea» esprimendo, così, tutto il suo entusiasmo di fronte a due begli occhioni, meglio ancora se accompagnati da procaci curve sinuose.
Ma è proprio vero che fate e dee sono il non plus ultra della bellezza femminile?
Da una lettura superficiale di favole e leggende sembrerebbe di sì, soprattutto per quanto riguarda le fiabe che narrano di belle principesse e di fate meravigliose la cui bellezza non viene mai messa in discussione.
Per quanto riguarda le abitanti dell’Olimpo, invece, le cose non andavano altrettanto bene e le dee non sempre potevano vantare un irresistibile sex appeal.
Persino Venere, la Dea dell’Amore e della Bellezza, era periodicamente costretta a sottoporsi ad intense cure termali per rinverdire un’avvenenza ed una giovinezza un po’ offuscate.
La località termale preferita dalla Dea era Pafo, a Cipro, famosa per le caratteristiche peculiari delle sue acque. Infatti, bastava immergersi fra quelle onde per riacquistare seduta stante la verginità!
Se qualche signora dei nostri giorni avesse degli interessi in tal senso, può sempre fare una capatina a Roma, dove sul Palatino pare ci siano ancora delle sorgenti che, a bagnarsi in esse, danno lo stesso risultato.
La tradizione pagana racconta, infatti, che il Primo di Aprile, in occasione delle feste in onore di Venere, le donne di Roma effettuavano dei particolari riti della Bellezza in suo onore.
In quel giorno le matrone si recavano al tempio della Dea dell’Amore inghirlandate di mirto e rose, svestivano la statua di Venere, la purificavano con dei lavacri e infine la rivestivano.
Lo stesso rito, poi, veniva eseguito dalle donne, presso il Tempio della Fortuna Virile, dove c’erano le famose sorgenti. Il tutto era accompagnato da libagioni di una bevanda (le signore possono prendere nota...) composta da succo di papaveri, latte e miele.
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I bagni e la bevanda avevano lo scopo – se non di far riacquistare la verginità – di donare alle donne un fascino particolare che avrebbe acceso di nuovo desiderio l’amore dei loro consorti o amanti. Gli uomini, così, avrebbero visto solo le loro belle qualità e non più i brutti difetti.
La data dell’1 Aprile, però, ci fa, nostro malgrado, sorgere un dubbio: che si tratti del più antico e ben riuscito “pesce d’aprile” della storia?
Niente paura: le “racchiette” dell’antica Roma non si arrendevano facilmente e pur di acquistare un po’ di fascino non esitavano ad ingozzarsi di carne di lepre, animale sacro a Venere, nonostante Plinio avvertisse che la credenza popolare, secondo la quale mangiare carne di lepre «...conferisce al corpo avvenenza per nove giorni...» , era in realtà solo una fandonia. Però, per non sbagliarsi, aggiungeva anche che «...tuttavia deve avere qualche fondamento se tanti ne sono persuasi».
Ritornando a Venere, la Dea dell’Amore, come tutte le belle donne, disponibile e compiacente nei confronti di chi la onorava, diventava oltremodo astiosa e vendicativa verso chi le prestava scarsa attenzione.
Ben se ne accorsero le donne di Lemno che non la “veneravano”: la Dea le punì facendole puzzare come capre e, poiché non conoscevano i deodoranti, furono abbandonate dai mariti che le tradirono con giovani e fragranti schiave tracie. Malauguratamente per i fedifraghi consorti, le signore, anziché rivolgersi ad un esperto dermatologo, risolsero il problema assassinandoli tutti, giovani e vecchi.
Per conquistare gli “oggetti” dei suoi insaziabili desideri, Venere, a volte, era persino costretta a cingersi di una magica cintura che la rendeva irresistibile agli occhi di quanti non la trovavano poi così “irresistibile”. Difficilmente se ne separava e la prestava, seppur malvolentieri, solo raramente a Giunone che se ne serviva per ridestare le assopite voglie del consorte Giove.
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(28/08/2007)
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