Se volete provare a richiamare questa sensazione, pensate quando nella vasca da bagno, in mare o in piscina vi è capitato di immergere la testa nell’acqua, anche solo fino oltre le vostre orecchie.
Si entra subito in un’altra dimensione percettiva.
I suoni cambiano d’intensità e tono. E, se teniamo gli occhi aperti sott’acqua, anche le immagini si modificano, diventano liquide.
Il corpo diventa leggero, fluttua come in assenza di gravità, e ad ogni fase di inspirazione si può percepire un movimento del tutto involontario dovuto proprio all’ingresso di aria nel suo interno che provoca un cambiamento del peso corporeo.
Tra l’altro formarsi in un ambiente liquido richiama un ricordo arcaico dell’origine acquatica dei lontani progenitori dell’essere umano. Alcune tesi sostengono, infatti, che anche la capacità natatoria presente nel neonato provenga dalla storia evolutiva impressa nei suoi geni.
I sostenitori del parto in acqua, inoltre, asseriscono che questa modalità attenui di molto il trauma che il bambino affronta per nascere: passare da un corridoio stretto e buio, lasciare quel calore avvolgente, sentire voci squillanti; senza parlare di quando si sente afferrato da attrezzi gelidi che lo tirano, oppure soffocare dallo stesso cordone ombelicale che lo ha nutrito per tanto tempo, e così via.
Infatti, una volta nato, il bambino ha la possibilità di ritrovare per qualche istante condizioni ambientali simili a quelle provate durante la vita intrauterina, il che lo tranquillizza.
La connotazione psicologica positiva dell’acqua, quando non si sono vissuti traumi particolari, porta ad utilizzare questo elemento naturale per indurre stati di rilassamento: ad esempio attraverso l’ascolto di brani musicali che riproducono il suono dell’acqua, o l’uso di fontane dentro l’abitazione, oppure ancora tecniche di intervento psicologico specifiche come il watsu ( shatzu in acqua). Questa tecnica, oltre ad indurre stati di rilassamento, proprio per l’effetto di regressione ad una condizione primitiva, può servire per modificare il proprio rapporto con l’acqua e con la propria nascita, qualora ci siano stati eventi di sofferenza psico-fisica.
Dal punto di vista psicologico, in genere, avere un contatto sano con l’acqua, non inficiato da paure, contribuisce a percepire, tra l’altro, come piacevole la dimensione dell’affidarsi, del potersi abbandonare, del poter fluttuare senza annegare nel mare delle proprie preoccupazioni, paure o ansie relative ai propri vissuti.
A volte, osservo nelle persone la tendenza a voler andare avanti, superare ostacoli, senza voltarsi indietro o fuggendo dal sentire fino in fondo cosa l’ostacolo può insegnare. Invece, a mio avviso, riconoscere serenamente quello che si è stati e che magari non si vuole più essere, può diventare un modo per darsi una spinta di autostima e fiducia in se stessi.
Tornando al simbolismo dell’acqua, a volte immergersi in un bagno caldo e avvolgente può essere un modo per guardarsi indietro, fino all’aspetto protettivo del liquido amniotico della vita intrauterina.
Connettersi alla sensazione di essere stati protetti ci ricorda che scegliere di fare un bagno in acqua calda, ad esempio, può riportarci in tempo presente la percezione di sapersi autoproteggere, muovendosi consapevolmente verso tutte quelle condizioni che ci fanno stare bene.
Un vero e proprio ritorno all’utero che stimola il recupero di parti della nostra prima infanzia da tempo perdute.
Dott.ssa Maria Rosa Greco
Psicologo clinico e psicoterapeuta della Gestalt
e-mail: greco.mariarosa@libero.it
tel. 338/7255800
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