PARDI E PANORAMICHE SUL FESTIVAL DI VENEZIA
Chi l'ha detto che quando un festival è passato non bisogna parlarne più. Che fine fanno, una volta spenti i riflettori, le decine di film che vengono presentati e acclamati dalla critica? Noi abbiamo deciso di "rispolverarli", con un analisi di quanto finora non ci è stato proposto dai grandi schermi.
di Maria Grazia
Da un paio d’anni la tradizionale panoramica milanese dei film presentati al Lido veneziano si prolunga di due giorni per lasciare spazio ai pardi di Locarno (ai quali, qualche tempo fa, Milano dedicava una rassegna a parte sic!), che sono quasi sempre lungometraggi di grande qualità e difficilmente distribuiti nel grande circuito. Si dovrà aspettare, infatti, fino a gennaio per vedere il bellissimo “PRIVATE”, pardo d’oro di Saverio Costanzo che con la sua opera prima, ispirata ad una storia vera, affronta un argomento complesso e spigoloso come il conflitto israelo-palestinese. Optando per un film d’interni (ricorda la trama di un libro edito da Feltrinelli dal titolo “Appartamento”) sviluppa la vicenda da un’angolatura del tutto inedita e molto efficace. Il regista ha lavorato provini per quattro mesi avvicinando, cosa rara, attori palestinesi e israeliani.

Meno interessante ma comunque efficace il pardo d’argento dal titolo “EN GARDE”, espressione di una posa tipica dello scherma, sport praticato dalla protagonista di questo film ma anche espressione metaforica che ben si adatta alla vita di Alice; sedicenne taciturna ed introversa, rifiutata dalla madre, entra in un istituto cattolico dove non riuscirà mai a trovare pace né con se stessa né con l’ambiente che la circonda.

Da non perdere, se e quando uscirà, il pardo d’argento “miglior opera prima” dal titolo “DASTAN NATAMANN – STORY UNDONE” in lingua farsi e ambientato in Iran, che ci racconta con grande maestria il tentativo di due giovani registi di realizzare un documentario sulla immigrazione clandestina al confine con gli altri stati. Tra mille difficoltà riusciranno a filmare i poveri esuli rendendo quest’opera un efficace e curioso incrocio fra fiction e documentario.

Molto divertente è lo spagnolo “SERES QUOIDOS – ONLY HUMAN” presentato nella sezione “Piazza Grande” che, con qualche piccolo riferimento a “Indovina chi viene a cena?”, offre una piacevole ed intelligente commedia con qualche istanza politica, ironizzando sui molteplici luoghi comuni e pregiudizi; Leni, giovane donna ebrea torna a far visita alla sua famiglia per presentare il suo amato fidanzato nonché futuro marito Rafi. Qui ritroverà una sorella ninfomane ed danzatrice del ventre, una madre benpensante e depressa, un padre con l’amante in ufficio e una fratello praticante integralista.

Ricordiamo ora i film Veneziani in concorso non ancora usciti nelle sale come il difficile “PROMISE LAND” di Amos Gitai che ha presentato un’operazione filmografica coraggiosa sia per l’argomento, ovvero la tratta delle donne bianche provenienti soprattutto dall’Europa dell’Est che per lo stile quasi documentaristico; molto duro ed efficace lo avvertiamo come una sferzata quando ci mostra come nel crimine ci sia connivenza anche tra fazioni politicamente distanti ed opposte come palestinesi e israeliani. Una “terra promessa” violenta che offre a queste creature infelici la schiavitù più umiliante di semplice merce di scambio.


Decisamente non riuscito il film francese di Claire Denis “L’INTRUS” che racconta con molti silenzi ma poco pathos il viaggio di un uomo tormentato dal cuore malato che vuole una vita nuova e fugge verso le isole del mare del Sud dove troverà la pace e la morte.

Degno di nota è il leone d’oro “VERA DRAKE” di Mike Leigh che narra la vicenda di questa umile donna delle pulizie nella Londra anni ’50; Vera nasconde per anni alla sua amata ed unita famiglia la sua occupazione disinteressata ovvero aiutare ad abortire giovani donne disperate; finché una di queste non sarà ricoverata e le indagini di polizia risaliranno a lei e tutto il suo mondo le crollerà addosso. Sarà processata e condannata alla prigione. Un film distante da qualsiasi giudizio morale che narra la vicenda di questa donna non tralasciando mai lo sguardo alla realtà circostante.

Bellissimo ed indimenticabile “BEEN-JIP (THREE IRON)” riconosciuta migliore regia dell’ormai noto coreano Kim-Ki Duk il regista dell’intenso “Primavera Estate Autunno Inverno e ancora Primavera…”, ancora in programmazione nelle sale. Già il titolo ci suggerisce qualcosa di insolito; Three Iron è il numero di mazza meno usata nel golf. Questo oggetto infilato in una borsa molto costosa accompagna il solitario e nobile personaggio della storia trasformandosi in metafora di solitudine e abbandono. Tsae Suk, il protagonista viaggia con l’inseparabile sporta sulla sua moto alla ricerca di case abbandonate dove stare per un po’, riordina e lava i panni sporchi finché in una di queste troverà la donna del suo destino, la salverà da un’esistenza infelice e si comprometterà per sempre.

Nella sezione “Fuori Concorso” ricordiamo il riuscito ed interessante documentario “Come inguaiammo il cinema italiano: F.Franchi e C.Ingrassia” della coppia Ciprì e Maresco che in circa 100 minuti ci ricordano il genio di questi due attori ingiustamente classificati di serie B. “LA DEMOISELLE D’HONNEUR” è un film di C.Chabrol con tutto il suo caratteristico stile ovvero la passione erotica tinta di nero e l’incrocio enigmatico fra amore e morte, avvolgendoci in atmosfere misteriose grazie al ritratto del personaggio femminile, chiave di tutta la vicenda.

Ottimo il remake del film di Frankenheimer del 1962 “Và e uccidi”, “The Manchurian Candidate” di J.Demme in uscita nelle sale a novembre. Un’opera di forte tensione politica che si insinua nelle stanze del potere, degli intrighi tra le multinazionali e i ministeri della Casa Bianca (Manchurian è infatti il nome di una potente multinazionale americana) e soprattutto attuale se si considera che è stata presentata in contemporanea alla Convention dell’amministrazione Bush.

Passando ora alla Russia non si riesce a capire perché un bel film come “NASTROYSCHIK – L’ACCORDATORE” non sia stato inserito nella sezione Concorso. Un bianco e nero davvero originale che nei suoi 154’ non annoia mai perché seguendo le vicende dell’accordatore Andrej entriamo nei giri acrobatici dell’amore e del destino di un uomo povero e disgraziatamente innamorato di una bellissima bionda fatale.


Dando un rapido sguardo alla sezione “ORIZZONTI” ritroviamo il belga Fontayne, regista dell’intrigante “La liason pornographique”, che ha presentato un film non degno di particolare nota “LA FEMME DE GILLES”, scontata storia di follia amorosa ambientata in un piccolo paese negli anni ’50.

Coraggioso e molto severo il documentario del finlandese Pirjo Honkasalo che ci ricorda in tre capitoli appunto “MELANCHOLIAN KOLME HUONETTA – 3 STATI DELLA MELANCONIA” il crudele destino dei bambini orfani russi e ceceni. Senza alcuna differenza questi bambini trasformati in adulti troppo presto sono stati derubati dell’infanzia, quella che dovrebbe essere la stagione della vita più serena e felice.

Per chiudere questa sezione non dimentichiamo l’argentino “UN MUNDO MENOS PEOR” di Alejandro Agresti, che invita ad una riflessione sull’influenza continua della tragedia politica di questo paese sulla vita e i sentimenti delle persone.

“LE GRAND VOYAGE” del Marocchino Ismael Ferrouki e presentato nella “Settimana Internazionale della Critica” è un piccolo-grande film che racconta il lungo viaggio da Marsiglia a Istanbul in macchina di Mustafà, anziano marocchino prossimo alla morte, e Reda il figlio ormai ben inserito nella comunità francese verso la Mecca. Dopo i primi contrasti i due si capiranno e, una volta giunti alla meta, Reda comprenderà fino in fondo il significato di questa avventura. Nella stessa sezione segnaliamo un film che forse non troverà distributori il francese “LES LIENS-I LEGAMI” un melò con finale tragico.

Speriamo di vederlo nelle sale e non solo nei circuiti d’essai l’italiano “NEMMENO IL DESTINO” di Daniele Gaglianone, dallo stile inconfondibile; un viaggio attraverso il tormento esistenziale dell’adolescenza alla periferia di Torino. Gaglianone, già autore del memorabile “I nostri anni”, tratteggia sapientemente le figure di tre amici il cui destino è loro malgrado già segnato da situazioni famigliari devastanti. Efficacissimo il parallelo tra il fiume che, luogo fondante dell’amicizia, si contrappone alla scuola, una sorta di gabbia dove i ragazzi- non solo i tre protagonisti- trascinano stancamente le loro esistenze. Commovente il finale con la fuga liberatoria tra le montagne, l’ultimo estremo tentativo per ricordare al mondo la propria presenza.



(12/10/2004)