Quando visitiamo un parco, ci rendiamo conto solo di una piccola parte della realtà che ci circonda. In realtà, al suo interno si instaurano delle dinamiche ecologiche molto complesse. Può sembrare paradossale, ma uno dei problemi più difficili da risolvere è quello di dare agli animali la possibilità, per così dire, di viaggiare per il mondo…
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L’Italia è un paese ricco di parchi. Contiamo ben 511 aree protette, di cui 21 parchi nazionali, per un totale dell’8,02% di territorio protetto ufficialmente. A queste aree vanno aggiunti tutti i siti gestiti dalle Università, dalle associazioni ambientaliste o da organismi pubblici e privati.
Tuttavia, al momento dell’istituzione di questi parchi non si è fatto assolutamente caso alla loro posizione. In Calabria, ad esempio, il parco nazionale dell’Aspromonte, della Sila e del Pollino non sono collegati fra loro. Un animale che vive nella Sila, quindi, non può muoversi fino all’Aspromonte o al Pollino, e viceversa.
L’Orso bruno delle Alpi viveva, fino a qualche anno fa, a cavallo fra le Alpi orientali e la Slovenia. La costruzione dell’autostrada del Brenta ne ha diviso la popolazione, lasciando tre individui nelle Alpi ed il resto in Slovenia. Ora le due parti della popolazione non possono più incontrarsi, il che crea non solo dei problemi di solitudine ai tre orsi rimasti, ma anche ben più gravi problemi di riproduzione.
Ebbene sì, perché quando una popolazione conta pochi individui va incontro ad un fenomeno chiamato inbreeding (letteralmente incrocio fra consanguinei), per cui finisce che gli orsi (per continuare con questo esempio) che si incrociano sono tutti parenti e nascono individui con problemi genetici. È noto a tutti il caso della famiglia reale della Regina Vittoria, in cui i continui matrimoni fra cugini avevano portato alla diffusione dell’emofilia, malattia di origine genetica.
E visto che gli animali si incrociano non per il proprio piacere personale ma per il benessere della specie, quando cominciano a manifestarsi malformazioni fisiche o genetiche, al posto di danneggiare la specie scelgono di non riprodursi, in un fenomeno chiamato depressione da inbreeding.
Quindi, tornando agli orsi italiani e sloveni, risulta ovvio come quei tre poveretti rimasti nelle Alpi non abbiano avuto alcuna voglia di riprodursi. In questo caso, il problema è stato ovviato traslocando degli orsi dalla Slovenia all’Italia.
Ma provate ad immaginare di fare la stessa cosa con tutte le popolazioni di volpi, lepri, ermellini, stambecchi, ghiri, rane, serpenti e chi più ne ha più ne metta, rimasti isolati nei parchi italiani.
Ogni volta che viene disboscata un’area, viene costruita un’autostrada o un campo viene utilizzato per l’agricoltura intensiva, in ognuno di questi casi alcuni animali restano isolati.
Il fenomeno è esteso addirittura agli uccelli: nel 1981 l’ecologo J.Diamond ha affermato che certi uccelli, di fronte ad una radura da disboscamento, mostrano la cosiddetta fear of flight (paura di volare), sebbene potrebbero senza problemi superare l’ostacolo. Allo stesso modo, i Moscardini non attraversano le strade perché si rifiutano di camminare sull’asfalto.
Oltre al problema della riproduzione, come sarà possibile in questo modo che gli Stambecchi raggiungano gli Appennini, o che si trovino impronte di Moscardino in Liguria, o che il Geco di Kotschy esca dalla Puglia?
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Negli ultimi decenni, ma soprattutto negli ultimissimi anni, la biologia della conservazione e la pianificazione ambientale si sono incontrate per discutere e risolvere il problema. Grandi studiosi come E.O.Wilson, R.F.Noss, M.E.Soulè, o gli italiani A.Farina e L.Boitani, si sono dati da fare ed hanno ideato un grandioso progetto globale chiamato rete ecologica.
Il concetto della rete ecologica è semplice: bisogna unire i grandi parchi (chiamati core area – nuclei centrali) attraverso dei corridoi che siano adatti alle esigenze di ogni specie. Quindi, se per il Moscardino che non attraversa la strada basta costruire un sottopassaggio, per far sì che il Lupo delle Alpi raggiunga la Calabria serviranno dei sistemi di aree verdi più estese.
I corridoi possono essere semplici sistemi di siepi, filari di alberi (pensate agli scoiattoli), campi coltivati in maniera tradizionale (l’agricoltura intensiva rappresenta invece un ostacolo) o anche sottopassaggi e autostrade a trincea (leggermente sopraelevate, in modo da poter essere attraversate).
Attorno alle core area si stabiliscono le buffer zones, o zone cuscinetto, in cui i vincoli ambientali sono più lassi che nell’area protetta, ma comunque rilevanti. Ad esempio, attorno al Parco del Delta del Po la buffer zone è costituita da un sistema di risaie, ottime sia per l’uomo in campo economico che per il passaggio degli uccelli migratori, ed a basso impatto ambientale per tutti.
Questo sistema sta rivoluzionando il criterio di istituzione delle aree protette e fioccano i progetti internazionali. Fra questi, di grande rilievo è la Direttiva Habitat del 1992, che si propone di creare una rete di aree protette estesa a livello europeo (la Rete Natura 2000).
Proprio quest’anno, fra il 27 ed il 28 maggio, si è tenuto a Roma un importante Convegno nazionale dal titolo “Ecoregioni e reti ecologiche – La pianificazione incontra la conservazione”, in cui studiosi del calibro di L.Contoli, L.Boitani, S.Pignatti, A.Farina, S.Malcevschi ed altri hanno dato il loro contributo in un dialogo di livello nazionale.
Se questa è la via che hanno scelto di intraprendere urbanisti ed ecologi ben venga.
E speriamo che l’Europa possa così abbattere, assieme alle frontiere politiche, anche quelle ecologiche.
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