Prologo: C’era una volta un uomo che batteva le mani ogni dieci secondi. Interrogato sul perché di questo strano comportamento, rispose: “Per scacciare gli elefanti”. “Elefanti? Ma qui non ci sono elefanti!”. E lui: “Appunto”.
Di queste e altre edificanti storielle è colmo il presente libretto. Watzlawick, brillante studioso di psicologia e comunicazione, si premura di spiegarci come raggiungere una piena infelicità. Non che non siamo già bravi da noi, sostiene, ma il perfezionamento, l’applicazione instancabile possono portarci a un’estatica tristezza, quale non avremmo mai osato sperarla.
Di questi tempi una fenomenologia dell’autolesionismo è attuale e ben accetta. Quanto meno ce la siamo meritata. E non suoni così paradossale la proposta di un corso rapido al conseguimento dell’infelicità. Perché la felicità non sappiamo bene cosa sia, la sua stessa definizione è sfuggente, e il suo raggiungimento del tutto effimero. Eppure la cerchiamo, ne parliamo, la invochiamo, magari servendoci di apposite ricette a buon mercato. E puntualmente la manchiamo. Allora, forse, il modo migliore per avvicinarla è non guardarla negli occhi, ma rivolgersi al suo contrario.
Intermezzo: regalate a vostro figlio due camicie sportive. Quando ne indossa una per la prima volta, guardatelo con aria avvilita e dite: “L’altra non ti piace?”.
Questo è un esempio di una delle tecniche più semplici e diffuse: immaginare che gli altri agiscano sempre per sfavorirci, o che comunque esistano con lo scopo unico di ferirci. Sarà sufficiente regolare le nostre azioni e reazioni di conseguenza per godere di momenti di sublime infelicità.
Altre tecniche, forse ancora più basilari, non necessitano della relazione con gli altri: si possono praticare individualmente. Dalle aspettative che si autorealizzano, che guidano tanto i processi macroeconomici, quanto si intrufolano nelle nostre vite, al terrore di ottenere ciò che si è desiderato tanto e per cui si è a lungo lottato, perché come diceva Shaw: “nella vita esistono due tragedie. La prima è la mancata realizzazione di un intimo desiderio, la seconda è la sua realizzazione”. Sanno anche gli adolescenti che la realtà è spesso più scadente della fantasia. Molti preferiscono evitarla.
Intermezzo: …sia detto per inciso, perché credete dunque che Thomas More abbia chiamato la sua lontana isola della felicità ‘Utopia’, che letteralmente significa “in nessun luogo”?
Tutto sommato la lettura contiene già la cura, nel tono, nello stile giocoso. L’ironia e l’autoironia sono espressioni dell’animo che segnano già il risveglio: non si può essere autoironici senza avere perdonato se stessi e gli altri per l’infelicità che ci è toccata. E se in libreria decidiamo di abboccare all’esca di questo titolo probabilmente abbiamo già iniziato la discesa.
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