Greenpeace lancia in Italia una campagna per la sostituzione delle vecchie lampadine a incandescenza, con le lampade fluorescenti compatte (LFC, ovvero le cosiddette lampadine a basso consumo), meno costose e meno inquinanti. Un’iniziativa, già promossa in altri paesi europei, che tutela ambiente e consumatori insieme.
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Questa volta è una battaglia semplice, da capire e da vincere. Le lampadine a incandescenza costano e inquinano di più, quelle fluorescenti di meno. Le lampadine fluorescenti si trovano sugli scaffali di molti negozi, oggi stesso. Non ci sono in ballo le speculazioni sul bioetanolo, le ipocrisie di alcuni progetti di riforestazione, i distinguo sugli investimenti nelle energie alternative. Cambiare le lampadine di casa conviene alla massaia e al pianeta, con l’eccezione forse delle grandi aziende energetiche. Che però camminano benissimo anche senza stampelle.
Dal punto di vista della tecnologia con le lampade a incandescenza siamo dalle parti del dittafono. Lo inventò Edison alla fine dell’Ottocento, scomparve piuttosto presto anche se non inquinava. Tradizione vuole che anche la lampadina a incandescenza si debba a Edison (nonostante intuizioni e migliorie altrui). E ancora illumina le nostre case.
Nella lampadina a incandescenza un filo di tungsteno viene percorso dalla corrente elettrica. Oltre il 90% dell’energia prodotta si disperde in calore, solo il 5-10 % si trasforma in luce. Per produrre la stessa luce, secondo Greenpeace, che coordina in questi giorni una campagna nazionale, le lampade fluorescenti fanno risparmiare l’80% in bolletta.
Un esempio? Presi a parametro costi e consumi medi secondo l’Enel, considerando tre ore di accensione al giorno, si può fare un calcolo del risparmio (www.greenpeace.it). Abbiamo ipotizzato per una casa medio-piccola la sostituzione di 4 lampadine da 40 watt, 2 da 60, 4 da 75 e 2 da 100. Il risparmio in un anno sulle bollette della luce è di 100 euro. Dopo dieci anni di 1014 euro. L’investimento iniziale è di 74 euro, parecchio più del costo delle lampadine a incandescenza, ma l’ammortizzamento è garantito, tanto più se si considera che la vita media delle fluorescenti è circa otto volte superiore alle tradizionali. Nel paese dei precari e della crescita al rallentatore, con la messa al bando delle incandescenti, in un anno i consumatori risparmierebbero un miliardo di euro, lo Stato non dovrebbe sborsare nulla.
E se l’argomento risparmio è probabilmente di più immediata presa, i vantaggi per l’ambiente sono assoluti. La famiglia che seguisse l’esempio precedente scaricherebbe nell’aria 331 chili di CO2 in meno all’anno. E nel paese della rincorsa affannosa ai parametri di Kyoto (e dei periodici sovraccarichi della rete elettrica), la messa al bando delle lampade fluorescenti taglierebbe 3 milioni di tonnellate di CO2 e 5,6 miliardi di chilowattora all’anno.
Una piccola rivoluzione, incruenta e vantaggiosa per tutti. Difficile immaginare cosa impedisca di attuarla, se non la disinformazione, che discende dallo scarso desiderio dei soggetti istituzionali di giocare con i conti delle aziende dell’energia, o dalla coscienza intermittente di molti editori. Naturalmente la coltivazione di un nuovo immaginario ambientalista diffuso è cosa lenta e complessa, ma forse proprio messaggi come questo, nella loro immediatezza razionalistica, possono iniziare a smuovere l’“homo economicus” che popola le nostre città.
E di fronte a nuove richieste dei cittadini, anche la grande distribuzione, uno dei bersagli della campagna di Greenpeace, sarebbe costretta a ripensare i propri scaffali. Anche questa volta si parla di potere del consumatore. E proprio per questo è importante che gli giunga un’informazione completa.
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