GINO, L’ALFETTA E TUTTO IL RESTO. LE SODDISFAZIONI DI SILVESTRI
L’album Il Latitante sembra aver segnato un momento di svolta nell’opinione pubblica per uno dei più geniali cantautori del momento.
di Claudia Bruno
Vado di fretta, vado di fretta. Inizia così il tormentone radiofonico dell’estate appena trascorsa che ha fatto ballare e cantare migliaia di ragazzi sotto il palco del Festivalbar e che a giugno è stato eletto a inno dai partecipanti al Gay Pride romano da cui sono tratte anche alcune immagini del videoclip girato dal regista Alex Infascelli con Valerio Mastandrea e Daniele Liotti, in cui Daniele Silvestri compare in un’alfetta verde facendo il verso al noto personaggio della sua canzone. Un pezzo che, tra le righe, nasconde e mostra la rilettura sarcastica di alcune fobie culturali da cui il mondo che viviamo fatica a liberarsi.

D’altronde sono anni che Silvestri mette in rima le magagne degli uomini - dagli squarci sociali ai ritratti più intimistici - e lo ha fatto, finora, come dal buco di una serratura, sarcastico, quasi orgoglioso e sardonico nella consapevolezza che le sue canzoni potessero permettersi di essere così meravigliosamente leggere e allo stesso tempo piene di significati.

Ora sembra sia arrivato il momento di maggiore popolarità per il cantautore romano. Dopo il successone della Paranza sanremese – un tripudio di giochi linguistici - lo abbiamo ascoltato al cinema sulle note di Notturno Bus con Mi persi – ballata jazz dal gusto un po’ nostalgico. Poi il grande consenso per Gino e l’alfetta e adesso A me ricordi il mare, singolo appena uscito e scritto a quattro mani con “il bove” degli Otto Omh, estratto anch’esso dall’album Il Latitante. Un bell’album, in cui Silvestri sfodera le sue doti metriche accostandole ad una cura particolare per gli arrangiamenti, sempre votati al jazz ma con qualche lecito cedimento all’elettronica, e senza censura per i colloquialismi in gergo a lui tanto cari: “non c’ho na lira manco pe’ piagne” canta l’innamorato alla sua bella che dorme in Ninetta Nanna.

Nenie, filastrocche, tiritere, e una sottile ironia capace di svegliare il senso critico dell’ascoltatore: niente ideologia, solo vita, raccontata con un gusto particolare per l’aneddoto. Così, il Silvestri nazionale si conquista le simpatie di registi e colleghi, passando in pochi mesi sulle bocche delle giurie più conservatrici e di quelle più commerciali, e riuscendo persino a mettere in ridicolo la carica immorale che il senso comune attribuisce ancora al concetto di omosessualità. Tutto senza meritarsi la scomunica di Ratzinger. Forse perché, consapevole di essere un cantastorie, preferisce farsi ascoltare piuttosto che vedere. E magari per alcuni sarà anche un latitante, ma a noi piace così...


(01/10/2007)