UN’IMMAGINE DELLA CORSICA. L’ISOLA CHE C’E' ANCORA
Sconosciuta ma non troppo, la Corsica, a cinque ore di traghetto dall’Italia, compare come un alto scoglio inospitale…
di Stefano Zoja
Guidare lungo le strade della Corsica restituisce bene il senso di una terra aspra e poco contaminata, il cui carattere selvaggio si è propagato dalla geologia fino al cuore dei suoi abitanti. Il lato ovest è roccioso e frastagliato, col mare azzurro e le rocce rosse di certe pubblicità patinate di automobili. E’ da questo lato che milioni di anni di anni fa la Corsica si è staccata dalla Francia e, assieme alla Sardegna, è ruotata fino a diventare il baricentro del Mediterraneo occidentale.

In quella posizione Kallìste, “la più bella”, come la chiamavano i Greci, è stata luogo di passaggio e di dominio nei secoli da parte di Fenici, Greci, Romani, Vandali, Bizantini, Pisani, Aragonesi, Genovesi e, per ultimo, Francesi. Forza uguale e contraria hanno sempre voluto opporre i corsi, il cui slancio indipendentista si è sempre alimentato della loro fierezza di isolani. Dello spirito corso, anche oggi, si trovano tracce ovunque: nelle scritte sui muri, nella parlata (una specie di dialetto tosco-napoletano, molto più affine all’italiano che al francese), nella celebrazione entusiasta del mito di Pasquale Paoli, artefice dell’unico governo autonomo nella storia della Corsica.

Solo per quattordici anni, fra il 1755 e il 1769, l’isola ha potuto esprimere un governo indipendente ed è stato uno dei più fiorenti – e sconosciuti – esperimenti della storia d’Europa: suffragio universale maschile e femminile e separazione dei poteri erano i punti più alti di una costituzione che, in quegli anni, è stata studiata ovunque. Pasquale Paoli, illuminista formatosi a Napoli, divenne l’eroe corso, a lui sono dedicate piazze, strade e monumenti ovunque, ancora oggi con riconoscenza. Al contrario a Napoleone viene riservato un freddo disprezzo, lo stesso che animò il conquistatore nei confronti dell’isola dov’era nato.

Anni duemila, estate: il destino di Paoli e Napoleone si è riunificato in tazze, bloc notes e portachiavi, effigiati con i due condottieri, che la disinvolta iniziativa commerciale dà in pasto ai turisti. E’ uno dei rari scadimenti imprenditoriali della Corsica: in alcune città ci si è accorti dei parecchi turisti che sono felici di lasciare l’isola con al polso l’orologio di Napoleone. Un altro caso è quello dei coltelli: se ne vendono ovunque, sul manico recano la testa di moro, e intendono omaggiare la discussa tradizione corsa della “vendetta”, legata alle faide e al banditismo che hanno percorso la storia dell’isola. Dal serramanico al coltello di Rambo, ciascuno può soddisfare la propria voglia di reperto.

In realtà la Corsica si è preservata decisamente bene dall’invasione turistica. Chi conosce la Sardegna – certo, più grande e dal territorio più “facile” – o diverse altre regioni italiane, può rimanere meravigliato dalla scarsa contaminazione di vasti tratti dell’isola, come Cap Corse (noto in Italia come il “ditone”), il Desert des Agriates o ampie aree dell’entroterra. Qui sembrano non conoscere la speculazione edilizia, il gigantismo degli alberghi, l’ubiquità dei villaggi vacanze. Saranno le leggi francesi, l’asprezza del territorio o la lontananza dei Briatore, ma in certi luoghi la Corsica sembra un’isola dimenticata.


E qui ci si può dimenticare per un po’ di se stessi, accantonare i problemi quotidiani con più dolcezza che altrove. Ci sono campeggi isolati lungo torrenti, nell’entroterra vicino a Corte, o su spiagge poco battute, come quella al termine del deserto, che permettono di riavvicinarsi a uno stato di natura che pochi luoghi di vacanza concedono. Ci sono villaggi di pescatori e località marittime raggiunte dal turismo, ma ancora ben vivibili, come Port Centuri e Barcaggio a Cap Corse o Pianottoli–Caldarello a sud; borghi antichi di mezza montagna, come Sant’Antonino, la cui bellezza prende lo stomaco. E si trovano agriturismi recuperati da casolari del settecento, e boulangerie e patisserie, e ristorantini sul mare che stanno veramente sul mare.

In questi tratti la Corsica, che culturalmente è molto più italiana – o indipendente – che francese, sembra avere assorbito lo stile d’oltralpe. Qui è ancora possibile chiedere al cameriere una cosa semplice come la “caraffe d’eau”, cioè una brocca d’acqua di rubinetto, ottima e fresca, a zero euro. Certo, perché pagare l’acqua? E basta l’esempio a mostrare come Corsica (e Francia) siano spesso più avanzate di noi, quanto a (apertura mentale e) ospitalità. E poi c’è un senso estetico tipicamente transalpino, quasi lezioso ma sempre piacevole, che riempie di candele e profumi e scorci panoramici molti ristoranti e alberghi.

Ovviamente a chi voglia godersi questa Corsica è richiesta una qualche iniziativa, un minimo interesse per la ricerca, perché il fiume estivo di turisti si riversa anche qui e l’ospitalità dei corsi non si manifesta sempre a un prezzo amichevole. Ma certe parti dell’isola, soprattutto in giugno o settembre, o magari d’inverno, restano fra le più godibili e incontaminate del Mediterraneo. Con i falchi che sorvolano la statale, volpi e mucche selvatiche che si aggirano ovunque e coste e colline libere da costruzioni. Un grande scoglio dove si è mantenuto il senso delle cose.


(10/09/2007)