DA BACH A SATIE
DIVAGAZIONI MUSICAL-FILOSOFICHE

Musica: mezzo per lodare la grandezza divina o semplice "entertainment"?...
di G. De Felip
Quando scalpitante e indisciplinato studente liceale venni alle prese con le prime nozioni di filosofia con aria sfottente affermavo, insieme ai miei compagni di classe (scatenati e indisciplinati almeno quanto me), che “la filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale si rimane tale e quale”. Successivamente ebbi modo (dopo un bel po’ di tempo per la verità ) di capire che la filosofia, ovvero la ricerca del sapere e della verità secondo la nota etimologia greca, può permeare, in maniera conscia o meno, la nostra vita e le nostre attività comprese quelle legate alle arti. E’ insito infatti nella natura umana cercare il “perché” delle cose, ovvero “rerum cognoscere causas” (penso in questo istante a Galileo Galilei ma non voglio andare subito fuori tema !).

Chiusa la rituale premessa, iniziamo queste “divagazioni” soffermandoci brevemente su un anno magico per la storia della musica: il 1685. Nascono in quell’anno “nientemeno che” Johan Sebastian Bach, Georg Friedrich Händel e Domenico Scarlatti. Chissà se gli esperti in oroscopi dell’epoca erano riusciti a prevedere quanto stava per accadere nell’universo musicale !
In queste brevi pagine ci guarderemo dal configurare la grandezza dei tre personaggi ma accenneremo soltanto ad alcuni aspetti della loro produzione artistica e di alcune angolature etico-filosofiche (con meno enfasi potremmo dire “musical-filosofiche”!) nella quale talvolta essa si può inquadrare .

Quella di Bach è, come noto, semplicemente prodigiosa non solo sotto il profilo qualitativo ma anche sotto quello quantitativo. Ricordiamo, tra le innumerevoli sue composizioni, il Clavicembalo ben temperato (ben due libri!), i sei Concerti branderbughesi, le celeberrime Variazioni Goldberg e, tra le opere per organo, le Cantate sacre (sono trecento…!) e quelle profane (pochine, sono “solo” 50…!). Tra le perle della sua opera citiamo la Passione secondo Giovanni e quella secondo Matteo. Bach era famoso tra i contemporanei quale organista di eccezionale bravura ma la sua attività di compositore rimase sepolta negli archivi e praticamente sconosciuta per lungo tempo.
A svelare al mondo la grandezza del compositore fu, secoli dopo, un altro celebre musicista tedesco: Felix Mendelssohn Bartholdy. Infatti nel 1829, proprio nel suo esordio come direttore d’orchestra, egli diresse la Passione secondo Matteo di Bach consentendone ai contemporanei la “riscoperta” e la conseguente grande, sempre viva ammirazione per la sua opera !

Chiusa la parentesi (ma ne seguiranno altre…), passiamo a Friedrich Händel; il catalogo delle sue opere non è così ricco come quello di Bach, ma certamente altrettanto ponderoso per qualità e quantità. Nato in Germania, ove iniziò la sua opera di musicista, passò in Italia ove ebbe inizio la sua fama per approdare successivamente in Inghilterra ove rimase fino alla morte.

Il successo di Händel è legato a molteplici fattori tra i quali l’efficace taglio psicologico dei suoi personaggi siano essi interpreti di opere teatrali oppure di oratori. Quanto sopra, peraltro, è correlato anche all’uso magistrale dell’orchestra, dei singoli strumenti e dei cori. Esempi magnifici della sua arte sono l’opera teatrale Giulio Cesare, il coro d’apertura dell’opera Saul ed il celeberrimo oratorio il Messiah.


Per quanto concerne l’altro grande della “triade” del 1685, ovvero Domenico Scarlatti, egli è passato alla storia della musica non per le opere teatrali (così come suo padre Domenico Scarlatti) bensì per le sue sonate per clavicembalo. Ne ha scritte “parecchie” (circa cinquecentocinquantacinque!) che testimoniano la splendida carica inventiva, emotiva e tecnica dell’Autore. Le sue Sonate sono composizioni brevi, che durano spesso solo pochi minuti, ma nelle quali Domenico riversa cascate tumultuose di note scintillanti, distribuite e connesse in maniera magistrale.

Sono composizioni in genere brillanti ma alcune esprimono una sottile malinconia che ci coinvolge nel breve spazio della loro esecuzione. Tra queste vorrei ricordare l’Aria in Fa ( n° 423 secondo il catalogo di Longo e n° 32 secondo quello più recente di Kirkpatrik ). Nell’arco di sole 24 battute e quindi di pochi minuti, l’Autore crea una dolce, particolare atmosfera con una tecnica peraltro molto semplice.

Esaurita questa parte biografica avventuriamoci adesso in qualche considerazione “musical-filosofica come detto in precedenza.

Sotto questo profilo la personalità di Bach emerge in maniera evidente non solo per la gli aspetti della sua vita, ma anche per il pensiero da lui costantemente espresso: la musica, affermava, è un mezzo per lodare Dio e contemplarne la grandezza. Nulla da dire: tutto chiaro e viene spontaneo il paragone ad acqua che copiosa zampilla da una roccia. Perché la stessa massiccia costituzione fisica del Maestro e molti aspetti del suo carattere fanno pensare ad una roccia !

E dell’altro Grande, di Händel cosa dire ? Con Bach certamente ha in comune genio, capacità tecniche, visione multiforme e polivalente della propria opera ma, per il resto, le cose stanno diversamente! Händel infatti non era credente e la sua attività non poneva al centro la ricerca di Dio ma, molto più prosaicamente, quella del successo non solo sociale ma… anche economico . Eppure teniamo presente che ha scritto quell’opera di profonda religiosità che è il Messiah. Sorge ora una domanda : quali sono i confini che dividono la fede dall’agnosticismo ?
Domanda plurivalente, che ciascuno di noi in momenti e situazioni diverse della vita può porre a se stesso….!

Passiamo al terzo della “grande triade” di quell ’Anno di Grazia 1685 : Domenico Scarlatti.
La professione dalla natia Napoli lo porta prima a Roma. Ben presto passa in Portogallo ove, a Lisbona, entra al servizio del Re Giovanni V. Si trasferisce infine a Madrid alle dipendenze di Maria Barbara, Infanta di Spagna successivamente divenuta regina di Spagna.
Gli elementi per allontanarci da considerazioni esclusivamente musicali ci sembrano in questo caso scarsi. Ma l’iniziale attività di Domenico Scarlatti legata prima alla Cappella di S.Pietro a Roma, e quella successiva presso i regnanti “cattolicissimi” di Portogallo e Spagna non ci sembrano offrire, almeno formalmente, grandi possibilità per particolari elucubrazioni “musicalfilosofiche”…!

Chiusa le precedenti parentesi ma rimanendo nel ‘700 , soffermiamoci brevemente su quanto affermato dallo scrittore tedesco Ephraim Lessino in un suo saggio sulla musica. Ebbene egli afferma che quest’arte, contrariamente a quanto accade con la poesia, non sarebbe in grado di esprimere adeguatamente gioie dolori e moti dell’animo umano. Qualcuno magari esagerando potrebbe dire: beato lui che aveva capito tutto (ma forse era sordo…)

Mettendo da parte la facile ironia, per illustrare le correlazioni esistenti tra i nostri sentimenti e la musica non darei la parola ad esteti o psicoanalisti ma ricorrerei agli antropologi. Possiamo infatti ricordare che popolazioni primitive riescono ad esprimere efficacemente, con movimenti di danza e strumenti del tutto primordiali, sentimenti di varia natura quali gioia o aggressività.


Di ciò abbiamo eloquenti esempi ancora ai nostri giorni da parte di popolazioni isolate dal mondo “civile” (si fa per dire…), quali i boscimani!

Passano gli anni, e via via si susseguono concezioni, tematiche e stili diversi anche nella musica così come in tutte le arti e non solo in esse… Partendo da questa osservazione prima di chiudere soffermandoci un istante su un compositore , Erik Satie (1866 – 1925) che, per diversi aspetti, fu nel crogiolo di alcuni dei cambiamenti di cui sopra.

Satie era pregiato, originale autore di varie composizioni musicali a talune delle quali, peraltro, amava dare titoli quanto meno stravaganti. Tra queste ricordiamo ad esempio la “Sonatine bureaucratique” e “ Trois morceax en forme de poire” ovvero “Tre pezzi in forma di pera”.
Ma accanto a queste vanno ricordate le varie Gymnopèdies (n° 1 ecc.), le Gnosiennes, i notturni, ed altro ancora: si tratta di composizioni originali sotto il profilo tecnico e, cosa più importante, dotate di una sonorità tutta particolare.

Ma il motivo per il quale mi soffermo su Satie è una sua composizione per voci e piccola orchestra dal titolo “La morte di Socrate”.
Quest’opera musicale si ispira al Fedone, scritto dal grande filosofo Platone per descrivere e commemorare la morte di Socrate suo Maestro che, giudicato colpevole di empietà, venne condannato a morte mediante avvelenamento con la cicuta. Nel “Fedone”, che segna una tappa miliare nella storia della filosofia occidentale, assistiamo alle discussioni tra discepoli di Socrate su una serie di problematiche che spaziano dall’etica, al significato della nostra esistenza, al concetto dell’anima e della divinità.

Erik Satie, per descrivere la particolare atmosfera nella quale si svolgono questi dialoghi, si avvale di un filo melodico che si snoda con regolare dolcezza nel corso della narrazione musicale. Ma ad un tratto questo filo di note si spezza improvvisamente, con una acuta, repentina dissonanza : è questo l’istante nel quale la cicuta fa il suo effetto letale e Socrate – con un sussulto - muore.

Penso che, ancora una volta, quanto sopra si presta a correlazioni e considerazioni “musical-filosofiche”!


(03/08/2007)