Ormai di ecografie se ne fanno tante al punto che quando il bambino nasce si può già sapere che faccia avrà. Eppure la prima ecografia – non in ordine cronologico, poiché la prima vera è quella in cui si accerta lo stato di gravidanza ma la seconda – quella a cui, di solito, partecipa anche il padre è un’emozione sconvolgente. Più forte di ogni altra emozione, capace di spazzare via ogni pensiero, anche il più profondo, e annullare la coscienza ed i suoi stati.
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La seconda ecografia – ma la prima, in ordine “morale” – è piena di nuove scoperte non solo sul feto, poiché per la prima volta lo si vede per intero, ma anche sulla propria vita, un’analisi del passato e del futuro, tutta in quell’istante, il primo istante in cui gli occhi della madre e del padre vedono il loro bambino. Un bambino che non ha più niente dell’embrione della prima ecografia cronologica, un bambino con gambe, mani, un nasino messo proprio lì dove è il naso di tutte le persone. Un uomo, seppure in miniatura, ma con tutti i diritti e i sentimenti che spettano ad un altro qualsiasi essere viva su questa terra o altrove.
Il medico spalma il gel sulla pancia per facilitare lo scorrimento dello strumento ecografico e, una volta appoggiato, le frequenze radio mostrano a schermo un’immagine; non un’immagine qualsiasi, non la foto di un bambino preso a caso in qualche parte del mondo: è proprio quell’emebrione, quello che la prima volta era solo un mucchietto di cellule neppure percepibile dalla madre se non fosse per l’assenza del ciclo mestruale, che grazie al miracolo della vita è diventato un bambino piccolo piccolo, un bambino di sette centimetri o poco più, eppure il centro, il nocciolo, il senso di tutta una vita.
Ed eccolo lì, sullo schermo, il fulcro di quella ricerca affannosa e tormentata chiamata vita: coperto di cellule che si sforzano di somigliare già ad un essere umano, il feto se ne sta a galleggiare nella sacca di liquido amniotico, protetto dal suo niente e circondato dall’assoluto (l’assoluto silenzio e l’assoluto buio), emana luce pura e pur essendo vivo da soli tre mesi diventa l’asse portante di due vite – quella del padre e quella della madre –, diventa la meta di ogni pensiero, l’oggetto di ogni programma.
Si scopre così che un figlio oltre ad essere il frutto dell’amore, l’esperienza più bella, l’emozione più coinvolgente e tutte le cose che – assolutamente vere – si dicono sui nascituri, è la speranza del futuro e l’annullarsi d’improvviso di ogni male. Come se il mondo cessasse di ruotare sul suo asse invisibile con tutti i suoi orrori che ogni giorno si svegliano con il sole e diventasse un giardino dell’Eden, il ritorno al primo giorno in cui Adamo vide Eva. Un bambino ha il potere di rendere migliore la realtà in cui, dopo nove mesi, verrà gettato.
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