Il 1967 è l’anno della guerra in Vietnam, le università sono occupate dagli studenti, migliaia di giovani vanno via da casa. I Pink Floyd realizzano il primo album (The piper at the gates of dawn), esce il primo disco dei Doors (The Doors), i Velvet Underground si uniscono a Nico, i Jefferson Airplane danno vita a Surrealistic Pillow, si affaccia alla scena un bizzarro virtuoso della chitarra elettrica, Jimi Hendrix, che canta Sgt. Pepper appena 4 giorni dopo l’uscita dell’album dei Beatles. È l’anno del primo grande raduno rock a Monterey.
È l’anno, tuttavia, in cui i Beatles sono considerati musicalmente “finiti”, sgraditi ai più; sfiniti loro stessi dai ritmi insostenibili delle tournée in giro per il mondo, stanchi di essere considerati “ragazzi da poster”, infastiditi dalle urla dei fan che coprono la loro musica. Giurano solennemente di non fare più nessun concerto, vogliono tornare a essere musicisti.
Il 24 novembre del ’66 il gruppo si chiude negli studi di Abbey Road, per la prima volta nella storia della musica senza limiti di tempo, con tutta la possibilità di sperimentare. Ne vengono subito fuori due singoli di assoluta potenza innovativa: Strawberry Field Forever (di John) con un miscuglio di suoni mai sentito prima e Penny Lane (di Paul) con il famoso assolo di cornetta ispirato ai concerti brandeburghesi di Bach.
I due pezzi avrebbero dovuto far parte di un “concept album”, il primo della storia, cioè composto da canzoni che ruotano attorno a un unico tema, in questo caso interamente dedicate a Liverpool. Poi il progetto venne abbandonato in favore della geniale idea di McCartney: per alleviare la pressione, i Beatles si inventano un alterego, un’immaginaria banda del periodo edoardiano (la Banda dei Cuori Solitari del Sergente Pepe) che avrebbe consentito loro maggiore libertà creativa. E soprattutto mandano l’album che va in tournée, al posto del gruppo.
Per paradosso, il primo disco, uscito quando gli Scarafaggi decidono di non fare più concerti, comincia con il frastuono degli strumenti di un’orchestra che si accordano prima di un concerto. Poi la voce di Paul, tra applausi e grida, annuncia l’entrata in scena della banda: «So may I introduce to you the act you've known for all theese years, Sgt. Pepper's Lonely Heart's Club Band» ed ecco il primo rocambolesco ritornello, che dà il titolo al disco e sfuma per lasciare spazio a With A Little Help From My Friends, filastrocca interpretata in maniera strampalata e commovente da Ringo Starr (pezzo in seguito elevato a capolavoro da Joe Cocker con la straordinaria cover di Woodstock, apprezzata dagli stessi Beatles).
L’album - chiamato così da allora perché fu la prima copertina di un disco in vinile che si apriva a libro come un album fotografico, e per la prima volta presentava i testi delle canzoni – prosegue tra le allucinazioni psichedeliche della stradiscussa Lucy in the Sky with Diamonds (i disegni ispiratori del piccolo Julian Lennon non escludono comunque le suggestioni di marijuana ed LSD), le esperienze di ristrutturazioni casalinghe (Fixing a hole), i ragazzi che fuggono da casa perché non trovano più dialogo con i genitori (She’s leaving home).
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George Harrison apre qui, per la prima volta e in modo totalmente esplicito, la sua parentesi indiana con Within you Without you, frutto degli insegnamenti delle filosofie orientali e delle lezioni di sitar in India.
When I’m sixtyfour è un omaggio di Paul alle musiche che ascoltava il padre, Lovely Rita una canzonetta dedicata ad una donna vigile, leggera come Getting Better che ricorda i primi Beatles; Being For The Benefit of Mr. Kyte, il pezzo forse piu' lennoniano del disco, irregolare e divertente, ispirato a un poster di un circo di fine '800, è di quelli che si canticchia in testa per un intera giornata.
Poi il capolavoro: la provocatoria A Day in the Life, costruita come una mini-operetta dall’incastro perfetto di una parte scritta da John e una strofa di Paul. Il pezzo parte acustico con Lennon che canta lento le notizie lette sul giornale, seguito dalla climax orchestrale di archi e ottoni che diventano assordanti prima di bloccarsi all’improvviso e lasciare spazio alla sveglia che suona e desta la voce accelerata e nervosa di McCartney, che si prepara per andare a scuola. Poi di nuovo Lennon che riprende il tema iniziale fino a quando una voce inizia a contare ed entra tutta l'orchestra che, come voluto da McCartney, glissa dalla nota più bassa a quella più alta di ogni singolo strumento, in maniera casuale e non sincronizzata, fino ad ottenere un frastuono che viene interrotto dall’accordo finale di tre pianoforti.
Pubblicato quarant’anni fa, oggetto di culto, ancora oggi venerato da innumerevoli fan, Sgt. Pepper è il manifesto di un epoca, è il disco che ha fatto prendere coscienza della nobiltà e delle immense possibilità della musica pop/rock. Frutto di quegli anni irripetibili, che hanno segnato la Storia, e di cui tutti noi oggi continuiamo ad essere figli.
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