Nel 2013 Siviglia diverrà una delle prime città al mondo a emissioni zero. Solo il tempo che, nei prossimi sei anni, venga completato il più grande impianto fotovoltaico d’Europa, che produrrà energia per l’intera città senza emettere un sospiro di anidride carbonica. Seicentomila abitanti, coi loro frigoriferi, televisori e impianti d’aria condizionata, che non incideranno più sull’ambiente, o almeno non lo faranno le loro abitazioni.
Sembra l’edificante auspicio di un leader di Greenpeace, ma il primo troncone di quello che diverrà il principale centro europeo per l’energia solare è già operativo. Una torre di oltre cento metri, che raccoglie calore solare: al suo interno una gigantesca cisterna d’acqua che rilascia vapore e aziona una turbina, dal cui movimento si genera energia. Per ora servirà un bacino di 6 mila case: a fine 2013 l’impianto soddisferà le esigenze di 180 mila abitazioni, l’intera Siviglia.
La dimensione del progetto, questa volta, non è quella sperimentale di una qualche futurista enclave scandinava, ma è quella metropolitana di uno dei principali centri della Spagna.
Persino il fatturato è salvo: il tornaconto economico c’è, con buona pace dell’ossessione del profitto, o di chi proclama l’antieconomicità di molte soluzioni ambientaliste per conservare rendite di potere.
Proprio il profilo economico dell’impresa racconta qualcosa: la parabola alla rovescia di come spesso il fine dell’economia sia l’economia. Abengoa è la società responsabile della costruzione dell’impianto di Sanlùcar, per il quale investirà 1,2 miliardi di euro.
L’energia solare è costosa e viene prodotta attraverso impianti la cui vita media è di 25 anni, contro i 40 delle centrali tradizionali. Si tratta poi di volumi di produzione relativamente ridotti: il risultato è che l’energia solare costa più di quelle tradizionali, come è il caso del gas.
Abengoa non rende pubblico il costo di un chilowattora prodotto a Sanlùcar. Alcune fonti americane calcolano però che un chilowattora ricavato da combustibili fossili costi qualcosa meno di 10 centesimi, mentre secondo un’azienda tedesca dedita al solare, quest’ultimo tipo di energia si aggira sui 15 – 17 centesimi. Questo costo unitario, però, può essere ridotto attraverso le economie di scala: l’ampliamento futuro di Sanlùcar dovrebbe portare i costi sui 13 centesimi.
In questo caso la risposta all’antieconomicità del solare è tutta interna alle strategie produttive. Ma, come si è visto, questa riduzione dei costi non rende ancora competitiva l’energia fotovoltaica rispetto a quella tradizionale. Ancora 13 centesimi contro i 10 del combustibile fossile, se i calcoli sono esatti.
Eppure Sanlùcar finirà probabilmente per sconfiggere le centrali a gas, anche sotto il profilo economico. Infatti Abengoa potrà vendere a peso quell’“aria non sporcata” che volteggerà nei prossimi anni sopra i suoi impianti. Dopo Kyoto, infatti, il diritto a inquinare l’aria ha un costo preciso: nel dicembre 2008 emettere una tonnellata di anidride carbonica costerà 20 euro. Sono i tariffari imposti dall’Unione Europea e correntemente corrisposti dalle industrie inquinanti, come le centrali a gas.
Sanlùcar, per la sua produzione di energia pulita, si troverà a risparmiare 12 milioni di euro all’anno. Ecco allora la prima buona notizia: il solare di massa è, in certe condizioni, del tutto competitivo sul piano economico rispetto alla produzione a gas. E ce n’è un’altra, che viene riscoperta oggi: inquinare costa, comporta un costo sociale che è stato tradotto in costo economico.
Sarebbe questa una splendida e rara occasione in cui si (ri)affermano due novità sostanziali: le centrali alternative sono competitive e il danneggiamento dell’ambiente va penalizzato, anche nel caso di operazioni finanziarie.
Ma proprio queste due belle notizie ribadiscono la limitatezza del paradigma in cui ci troviamo immersi. Il criterio dirimente dello sviluppo umano è, e continua a essere, il denaro: il progresso coincide col progresso economico. Le centrali fotovoltaiche possono essere realizzate, ma solo perché – finalmente – sono competitive con quelle a gas.
E l’inquinamento è una cosa negativa, in qualche modo lo sanno tutti: la novità però – con Kyoto – è che questo principio viene affermato dalle istituzioni. E l’esplicitazione di questo valore negativo è nella sua monetizzazione: il denaro rimane la lingua più immediatamente comprensibile e la principale in grado di orientare l’azione umana.
Un diritto a inquinare resiste di fatto: si può scegliere se esercitarlo a seconda che il bilancio ne risulti più o meno avvantaggiato.
Allora, que viva Sanlùcar!, esempio compiuto della raffinatezza e della saggezza delle possibilità umane. Ma prima che la torre di Sanlùcar sia eletta a nuovo – e certo più luminoso – faro del progresso umano, ci si può chiedere se anch’esso non sia edificato su fondamenta vecchie, che ben conosciamo da molti decenni e che, a conti fatti, ci hanno portato al punto in cui stiamo. Il paradigma capitalista sorride sornione sotto tutto questo ingegno, senza che ancora nessuno lo abbia realmente interrogato.
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