L'OMBRA DEL POTERE
TITOLO: The Good Sheperd REGIA: Robert De Niro CON: Matt Damon, Angelina Jolie, Alec Baldwin, Tammy Blanchard, Billy Crudup, William Hurt, Keir Dullea, Martina Gedeck, Lee Pace USA 2006 DURATA: 167 minuti GENERE: drammatico VOTO: 6,5 DATA DI USCITA: 20/04/2007
di Giancarlo Simone Destrero
Baia Dei Porci, 1961. Dopo che le cose non sono andate come si aspettava nella battaglia contro Fidel Castro, Edward Wilson, uno degli agenti principali della CIA, ascolta un nastro misterioso che gli è pervenuto. Attraverso i suoi ricordi ripercorriamo le tappe fondamentali della sua vita: il suicidio del padre sotto i suoi occhi, gli studi universitari, il matrimonio forzato dalla gravidanza della futura moglie, e, soprattutto, la storia di trent’anni di spionaggio segreto americano e la sua istituzionalizzazione.

L’operazione effettuata da Robert De Niro è quella di mettere in scena la completa dedizione di un uomo al servizio di una causa, per la quale sacrificare la propria vita e quella dei propri cari. Tutte le controversie, che già si sono aperte, su questo film sono prettamente di carattere etico. L’oggetto dell’assoluta dedizione del protagonista del film è il servizio segreto più potente del mondo, la sua nascita ed il potere determinativo che la CIA, appunto, ha avuto durante gli anni della guerra fredda. La sua capacità di destituire uomini politici, soprattutto nell’America latina, o esautorare ideologie avverse al grande sogno americano, con ogni tipo di mezzo –soprattutto illecito- per quella che è stata la più grande stortura etica di un paese democratico.

Una vera e propria aberrazione istituzionale, nata con l’intento di fare in tempo di pace quello che l’OSS – Office of Strategic Services, la costola dalla quale nacque la CIA- fece durante la seconda guerra mondiale. Insomma, dopo aver sconfitto il nemico nazista, si trattava di eliminare un nemico molto più pervasivo: il diffondersi del comunismo su scala planetaria. De Niro non sembra molto interessato all’aspetto politico della vicenda, limitandosi a narrare i fatti senza troppo coinvolgimento, per focalizzare la sua attenzione sulla psicologia di un uomo: Edward Wilson. Quest’ultimo è un personaggio algido e paranoico, che prende spunto da fatti realmente accaduti e da James Jesus Angleton, uno degli agenti fondatori la Central Intelligence Agency. La storia è narrata attraverso l’utilizzo di flashback ed abbraccia un lasso di tempo che va dall’infanzia di Wilson, passando per la fine degli anni trenta e gli anni quaranta, fino al fiasco dell’operazione alla Baia dei Porci nel 1961.

E’ chiaro che, su un tema tanto delicato, un certo distacco morale può dare adito alle accuse di acquiescenza politica, nella migliore delle ipotesi. Sembra quasi che il fine giustifichi questi mezzi, anche se nel film non c’è una riflessione sul sistema sociale americano. Non è neanche presente una critica al capitalismo tout court, al liberismo o infine al comunismo; più semplicemente, di quest’ultimo il film non si occupa. L’unica parvenza di autocritica che il protagonista sembra fare, e tramite lui De Niro, è quando egli si libera del proprio passato, ed in maniera definitiva della sua innocenza, bruciando la lettera che aveva ereditato dal padre; quasi a voler esorcizzare la sua inattitudine - e con la sua quella della democrazia americana - ad ottemperare ai buoni propositi, voler sottolineare l’impossibilità di diventare un buon cittadino del sogno americano, sancendo il proprio fallimento con il fuoco. Ma questa già potrebbe essere una forzatura critica. Quello che realmente interessa il grande attore statunitense, qui alla sua seconda prova registica, è come un ideale, qualunque esso sia, possa portare un uomo a secretare la propria realtà quotidiana per esso e vivere misurando sentimenti e calcolando razionalmente ogni minimo dettaglio al di fuori di quell’ideale.


Quindi la tenacia di un uomo, la sua perseveranza e la fermezza psicologica nel portare avanti senza indugio la causa che ha sposato. Tutto il resto, figli compresi, devono sottostare a quella priorità. Il film è in sostanza il racconto di una perversione caratteriale, di una maligna stortura psicologica che ha qualcosa di inumano. Per rendere tutta questa paranoia, questo clima di sospetto continuo, la scelta stilistica è quella di costringere questi uomini dentro primi piani ossessivi, in delle immagini cupe ed adombrate, con un ritmo lento da attesa.

Tutto questo però rende L’ombra del potere un film riuscito a metà, perché alla fine quella a cui assistiamo è la messa in scena, pur se con alcuni momenti di buon cinema, di una piatta crescita personale, che appunto non si sviluppa a causa di una scelta prevenuta che il protagonista fa fin dall’inizio, all’interno di un contesto storico preciso dal quale non si vuole trarre nessuno spunto. Indicativa poi, per la struttura drammaturgica del film, è l’idea-dettaglio che ricorre nella memoria di Wilson, che vedrà coinvolto alla fine l’ultimo personaggio al quale si può pensare in un primo momento e che costringe il protagonista ad affrontare una crisi inaspettata. Insomma, pur se fatto ad arte, niente di nuovo come modo di portare avanti un film.


(24/04/2007)