LE VITE DEGLI ALTRI. AFFRONTANDO UN PASSATO RECENTE...
TITOLO ORIGINALE: Das Leben der Anderen REGIA: Florian Henckel von Donnersmarck CON: Martina Gedeck, Ulrich Muhe, Sebastian Koch GERMANIA 2006 DURATA: 137 minuti GENERE: drammatico DATA DI USCITA: 6 aprile 2007
di Lorenzo Corvino
Due recensioni

Recensione di Lorenzo Corvino.
Voto: 7

Berlino 1984. O meglio, Berlino Est a soli 5 anni dalla caduta del Muro. Il Capitano della Stasi, la polizia segreta della DDR, Gerd Wiesler insegna all’università come spiare, interrogare, vessare e far crollare coloro che si suppone cospirino contro lo Stato. Un giorno si trova a dover mettere sotto controllo un prestigioso drammaturgo teatrale: diventa così il segreto conoscitore dell’intimità di una coppia, il drammaturgo e la sua compagna, delle loro ansie e dei loro problemi, fino a quando altre vite e altri interessi giungono a turbare la glaciale sicurezza del Capitano della Stasi.

Nel cuore di una nazione spaccata, una città, Berlino, a sua volta divisa da un muro che oggi ci sembra quanto mai espediente assurdo per tenere lontane persone e ideologie, è teatro di una storia semplice e irrimediabilmente drammatica. Ci sembra di stare di fronte a quelle storie che ci appaiono come se fossero sempre esistite, in parte già viste, in parte classiche come Romeo e Giulietta, archetipiche come quelle emozioni che siamo in grado di provare prima ancora di saperle qualificare con un nome.

La storia di questo Capitano della Stasi, introverso e ciecamente fiducioso nel Sistema e nei valori che lo Stato in cui è stato educato e cresciuto gli ha imposto, coinvolge e fa riflettere, perché, se c’è una storia al cinema in grado di catturare l’interesse dello spettatore, anche di quello più smaliziato, è proprio la narrazione di un percorso umano di redenzione o di parziale riscatto: lo spettatore non anela altro che sapere come farà questo antieroe a sopravvivere a se stesso, alla sua coscienza, o se ci sarà mai in lui la rivelazione dell’errore in cui è caduto. Dall’Innominato de I promessi Sposi all’Oskar Schindler del celebre film di Spielberg, passando per il Robert De Niro di Mission, l’antieroe, malvagio o cinico che sia, che impara sulla propria pelle a martirizzare le proprie colpe verso un riscatto che può salvare un popolo o una parte di essa, godrà sempre del fascino di una suspense tesa e ricca di sfaccettature, senza dimenticare finanche la commozione che può suscitare negli animi più coinvolti dal racconto.

Per questo il film dell’esordiente Florian Henckel von Donnersmarck è in grado di raccontare tanto un dramma universale e astorico, quanto di integrare il contingente caso di un pugno di esseri umani, tra i tanti delle Storia contemporanea, con le atmosfere del thriller politico, tra cospirazioni e inni alla fuga, bisogni di rivalsa e rigurgiti di dispotismo senza eroi né ideologie. Sì, perché la Repubblica Democratica Tedesca, la DDR, qui stigmatizzata da un manipolo di corrotti uomini di partito privi di un qualsiasi appiglio al proprio onore e alla propria dignità, ha, sì, è vero, lo spessore grossolano del Male enunciato in modo fin troppo manicheo, ma anche l’impenitente stoltezza di chi veramente era in ritardo coi tempi, e credeva che la propria condotta sarebbe rimasta impunita per sempre.

La Germania con questo film si aggiudica l’oscar al miglior film straniero tre anni dopo averlo mancato con un film che neppure entrò nella cinquina finalista, Good Bye Lenin! Quest’ultimo potrebbe essere il perfetto complementare de Le vite degli altri, due storie che recuperano il rimosso di un paese che per tanti anni è stato diviso nel cuore di un’Europa che oggi vuole tenere lontano gli spettri dei celebri conflitti del XX secolo e che con una moneta unica sembra ulteriormente sia ratificare un’economia che si vorrebbe più omogenea, sia trovare un’identità politica nel rispetto delle diversità culturali.

La Germania affronta il suo passato recente con solerte severità critica...Quando toccherà all’Italia affrontare di petto la propria storia repubblicana recente, senza dover ricorrere a storie generazionali che fin troppe volte sfociano, per comodità o ignavia, nella commedia priva di sincere ammissioni di responsabilità?


Recensione di Serena De Santis
Voto: 7

DDR, Berlino Est, 1984. Il ministro della cultura Bruno Hempf si invaghisce della compagna del drammaturgo Georg Dreyman, l’attrice Christa-Maria Sieland. Intenzionato ad averla tutta per se, incarica la Stasi, la potente polizia di stato tedesca, di sorvegliare l’uomo, facendo mettere sotto controllo l’appartamento dove i due vivono. Vorrebbe infatti trovare prove a carico dell’artista per incastrarlo e avere così campo libero con l’attrice. Il caso è affidato all’efficiente ed inflessibile agente Gerd Wiesler, il quale subisce però una profonda metamorfosi. Entrerà nella loro vita, intercettando e controllando ogni istante. Tuttavia la sensibilità dello scrittore, la corruzione che aleggia tra le cariche politiche, la sua condizione di solitudine lo faranno pensare e lo trasformeranno in un inaspettato angelo custode.

Lo spaccato di vita in una Berlino Est attraversata da un’aria pesante ed opprimente, che l’esordiente regista Florian Henckel von Donnersmark ci racconta egregiamente, travolge e lascia il segno. I 137 minuti di narrazione si seguono senza cedimenti, non ci sono momenti banali o scontati. La storia è quella della Stasi, il ministero per la Sicurezza di Stato (Ministerium für Staatssicherheit) della DDR, l’ex Repubblica Democratica Tedesca, raccontata attraverso gli occhi e il cuore dell’agente Wiesler, il bravissimo Ulrich Muhe. Era la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio, che si avvaleva sostanzialmente di una fitta rete di impensabili cittadini votati a spie.

Come si vede nelle scene iniziali, gli interrogatori erano delle vere e proprie torture psicologiche. Presumibilmente dal film (ma chissà se poi fosse veramente così?) non venivano inflitte percosse, ma si interrogava il malcapitato fino allo sfinimento, fino alle minacce. Ottenuta la verità, l’interrogato poteva divenire una spia che collaborava o un fantasma senza più possibilità di inserimento nella società. Si viveva in una gabbia senza via d’uscita. Bastava un semplice sospetto o un’antipatia di troppo perché la vita fosse trasformata in un inferno. Ed era sufficiente un motivo banalissimo per far fuori chiunque non piacesse.

Essendo il teatro una forma d’Arte, quindi mezzo di espressione e comunicazione molto forte ed influente, subiva un controllo molto importante, che vincolava totalmente i lavori teatrali, col fine di esaltare il regime. Né Le vite degli altri sebbene Dreyman fosse linientreu, cioè fedele alla linea per convinzione e non per opportunismo, rischia di venir fatto fuori. Lui appare ignaro di ciò che lo circonda, si stupisce persino quando un suo amico drammaturgo per comunicare in casa alza la musica a tutto volume e scrive messaggi su fogli, che vengono immediatamente dopo bruciati.

Molto ben girato, scorrevole e carico di particolari significativi (vedi l’estratto di giornale dove si legge che Gorbačëv è stato eletto), questo film ha a mio avviso una sola pecca. Il seppur significante ed emozionante cambiamento dell’agente Wiesler è poco sofferto. Mancano scene cariche di dubbi, di scompensi e paure. Lo stesso agente che inizialmente minaccia freddamente, quasi ricorda un soldato nazista, la vicina di Dreyman, sorpresa a spiare mentre la casa viene riempita di microfoni, è lo stesso che poche scene dopo decide di rischiare la sua carriera per ‘proteggere’ i due amanti. Da integerrimo sostenitore dello Stato diviene repentinamente impensabile oppositore…senza vacillamenti, né ripensamenti.

A mio avviso il personaggio dal quale veramente trasuda ogni emozione è l’attrice Christa-Maria Sieland, ovvero Martina Gedeck de ‘Le particelle elementari’. E’ un personaggio imprevedibile, carico di dissidio interiore, indecisione, confusione. Ama, ma non vuole perdere il suo ruolo di attrice. Vuole rimanere fedele al suo uomo, ma deve piegarsi per non perdere ogni privilegio. Senso di giustizia ed egoismo caratterizzano questa fragile figura davvero umana.

Sono passati solamente 18 anni dal crollo del muro di Berlino e dalla fine del regime comunista in Germania e forse ci sembra un’eternità. Questo film, insignito dal premio Oscar come miglior film in lingua straniera, ha il pregio di farci ripensare a ciò che significa vivere sotto controllo e subire continue censure politiche. Ci lascia molta rabbia, forse anche per il fatto che viviamo un’epoca dove ci fanno credere di essere liberi, ma di censure e controlli ce ne sono fin troppi.
Da vedere.


(16/04/2007)