FONTI RINNOVABILI. UN OCCHIO CRITICO PER NON PERDERE SPERANZA
Il 9 marzo l’Unione Europea ha approvato a Bruxelles un piano d’azione, definito vincolante, a favore di un maggior utilizzo di fonti energetiche rinnovabili da parte dei paesi dell’Unione. Ma i termini di applicazione sono vaghi. E allora, prima di aprire lo spumante, cerchiamo di capire cosa sta succedendo.
di Rachele Malavasi
L’obiettivo principale che i 27 Stati Membri si prefiggono entro il 2020 è quello di ottenere almeno il 20% del fabbisogno energetico europeo da fonti energetiche rinnovabili, più un 10% di biocombustibili per i trasporti. Fino all’8 marzo, invece, la quota energetica da fonti rinnovabili era fissata in maniera non vincolante al 7%, senza menzione ai biocarburanti. Un bel passo avanti, dunque, considerando anche che per ottenere tali risultati si punta fortemente anche sull’innovazione tecnologica.

Tuttavia, pur approvando la decisione della Ue, non possono non emergere alcune perplessità. E’ una tendenza generale tristemente nota quella di aggirare gli ostacoli legislativi citando i famosi cavilli scritti in piccolo in fondo alle pagine, o viceversa adducendo come pretesto la mancata specificità di alcuni vincoli. Il progetto approvato il 9 marzo soffre gravemente di quest’ultima lacuna, e non è una malattia di poco conto.

Si legge infatti nelle dichiarazioni della Commissione che “dovranno essere fissate al più presto” le quote di energia pulita che dovranno adottare i singoli Paesi per raggiungere quota 20% (per ogni Paese infatti occorrerà un conteggio a parte). Nessun avvocato si schiererebbe mai contro un Paese negligente nei confronti di una scadenza non specificatamente indicata, ma definita blandamente “al più presto”.

Ancora, il presidente dell’Ue Durao Barroso ha annunciato che le proposte legislative per stabilire la tabella di marcia verranno presentate “durante l’estate”. Solo se queste saranno approvate anche dall’Europarlamento, la Corte di giustizia europea potrà prendere provvedimenti contro gli Stati inadempienti. E se in Spagna facesse caldo fino ad ottobre? Se ci trovassimo di fronte ad un non-inverno come quello di quest’anno, chi potrebbe stabilire quando finisce l’estate? Anche non volendo esasperare le considerazioni riguardo alle dichiarazioni fatte in sede di Commissione, è chiaro come certe affermazioni sulla tempistica dell’attuazione lasciano un po’ il tempo che trovano. E inoltre, perché numerose associazioni già cantano vittoria quando ancora non si sa se la questione verrà approvata nell’Europarlamento?

Nessuno vuole essere scettico, ma dare per scontato un risultato significa non solo ridurre l’importanza di un organo governativo, facendolo diventare meramente burocratico, ma soprattutto si corre il rischio di gridare “al lupo” perdendo credibilità caso mai la questione non fosse approvata. In questo modo, poi, si finisce per far perdere di vista la questione più importante, ossia la vera approvazione del progetto.

Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo di Legambiente, ritiene “inspiegabile la mancata definizione di un target specifico per la produzione di energia elettrica da rinnovabili” e considera “illusorio” l’obiettivo del 10% relativo ai biocarburanti perché, afferma, “sono ancora enormi i problemi di natura ambientale, sociale ed economica ancora irrisolti a riguardo”.


Cantare vittoria (“Da oggi l’ l'Europa è alla testa della lotta mondiale contro il cambiamento climatico” – sarà alla testa…) e gridare alla svolta è molto facile. Si attira l’attenzione dei media e del pubblico, che resta abbagliato dalla proposta strabiliante e non si ferma a riflettere sulla realtà dei fatti. Chi esulta fa bene, ma dovrebbe contemporaneamente aggiungere una vena critica che spinga il pubblico a non adagiarsi e soprattutto a non crederci troppo.

Angela Markel, presidente di turno della Ue, ha affermato che “l’aspetto giuridico dell'implementazione del piano di azione è un capitolo ancora tutto da scrivere. L'importante è che la porta sia stata aperta, non solo socchiusa". Sottoscriviamo in pieno l’importanza del piano d’azione, ma non è assolutamente sufficiente avere una porta aperta. Scrivere un piano d’implementazione per un progetto del genere richiede molto tempo. Festeggiare adesso significa dire ai membri della Ue che siamo già contenti così, che loro hanno già fatto la loro bella figura davanti ai nostri occhi e questo ci basta. Li voteremo di nuovo perché ci ricorderemo del successo ottenuto in Commissione su temi importanti come quello ambientale, senza soffermarci sulla reale riuscita del progetto. Non perde di senso aprire i regali di Natale prima della cena della vigilia?

Purtroppo, diverse volte negli anni si sono ripetuti questi comportamenti inadeguati e fuorvianti, ed il riferimento è soprattutto a Kyoto ed ai numerosi summit che si sono succeduti dal 1992 ad oggi. Il protocollo di Kyoto per il clima ha permesso enormi passi avanti sia nei confronti della consapevolezza riguardo al problema ambientale, sia, in termini più pratici, ha portato ad una riduzione del 5% delle emissioni a livello europeo. Al 2020, alcune proiezioni dicono che 7 Paesi dell’Unione non riusciranno a raggiungere gli obiettivi prefissati (fra cui l’Italia), ben 6 ce la faranno e 5 addirittura supereranno i limiti richiesti. Riduzioni significative si sono ottenute nei processi di gestione dei rifiuti, industriali e legati all’agricoltura, mentre per i trasporti la situazione è andata peggiorando.

Tirando le somme, la cosa funziona, anche se parzialmente e con la necessità di qualche spinta legislativa in più. Eppure fra la gente comune c’è un forte disinteresse, un grande scetticismo, e serpeggia l’idea che Kyoto e progetti vari siano solo una grande bufala che non serve in realtà a nessuno. Si sente dire sempre più spesso che, con tutti i disastri in corso, a che serve chiudere l’acqua mentre ci si lava i denti o riciclare la plastica? Ci sono i grandi accordi, se non funzionano quelli perché dovrebbero funzionare le nostre piccole azioni?

Nel corso degli anni, dicevamo, sono state numerosissime, da parte di associazioni di vario genere, le manifestazioni di esaltazione legate a singole dichiarazioni importanti in sé, ma ricche di lacune come quella del 9 marzo. Relativamente all’accordo di Bonn del 2001, si affermava che si trattasse di “una pietra miliare politica nelle lente negoziazioni internazionali”.


L’accordo prevedeva l’approvazione di un pacchetto di provvedimenti a favore dei paesi in via di sviluppo, tra cui il trasferimento tecnologico (mai visto), il finanziamento (idem) e l’adattamento all’impatto dei cambiamenti climatici (e infatti i paesi in via di sviluppo si sono adattati degradandosi come noi, diventando pattumiere dei nostri scarti). Si parlava di un “trattamento preferenziale nei confronti dell’energia pulita” e venivano proposte “conseguenze obbligatorie” per i paesi negligenti. Sebbene valido sotto certi punti di vista, in questi campi l’accordo ha avuto talmente tanto successo che pochi giorni fa è stato dovuto adottare un nuovo patto proprio per l’energia pulita. Altro che pietra miliare…

Il vertice di Johannesburg del 2002, esaltato anch’esso come un summit di importanza fondamentale e che quindi ha focalizzato l’attenzione del pubblico che si aspettava grandi svolte, si è rivelato, secondo Fulco Pratesi, un summit “fatto solo di dichiarazioni di principio”. Jeffrey Sachs (inviato del segretario dell’Onu) ha affermato che “i paesi ricchi non sono venuti a Johannesburg con reali impegni ma con il riciclaggio di vecchie promesse”.

Perché riempire la gente di false promesse? Perché esaltare la realtà per doverla deprimere subito dopo, e spingere chi ci crede a perdere interesse? Questo sottolineare l’importanza della comunicazione ai cittadini non è un uscire fuori dal tema ambientale. Visto che siamo noi per primi i fautori della svolta nelle emissioni, è importante che questi temi siano trattati con franchezza, mantenendo alto il nostro livello di attenzione, ma anche mettendoci di fronte ai limiti delle decisioni internazionali. Fa meglio raggiungere un obiettivo di piccole proporzioni piuttosto che rimanere delusi dal non raggiungimento di un grande progetto.

Quindi, poniamo l’attenzione su quello che succederà “in estate” e cerchiamo di discernere per conto nostro quando è il momento di festeggiare e quando invece di approvare ma restando in attesa. Da parte mia, spero di poter stappare un caldissimo ma meritato spumante “durante l’estate”.


(20/03/2007)