Quanto ci piace viaggiare? Ci sono periodi in cui trascorriamo ore totalmente concentrati sulla scelta della meta, risucchiati dal vortice della corsa ai last minute, puntualmente condizionati dalla ricerca sfrenata dei low cost.
Siamo mine vaganti, sottomessi al mercato dei pacchetti turistici, pronti a tutto pur di partire per luoghi lontanissimi ed “economicissimi” che divoriamo in pillole di tre o quattro giorni sentendoci autorizzati a parlarne come la nostra seconda patria, al ritorno.
Dunque si prenota tutto via internet, o in agenzia, e ci si affida alla più gettonata guida del momento. Si fa l’elenco delle meraviglie da non perdere, e si parte così sovrappensiero, per un viaggio che assume le sembianze di un sandwich tra l’ultimo impegno di lavoro e quello che ci aspetta al ritorno.
A volte, però, la differenza la fa non tanto il “dove” si va, quanto piuttosto il “come” ci si va. Se riflettete un attimo sugli ultimi posti che avete visitato, molto probabilmente ricorderete una gran confusione, il giro panoramico sull’autobus decappottabile, la fila vertiginosa per accedere al museo più famoso della città, il caldo asfissiante della gita in battello, il portafoglio vuoto dopo una cena sul corso principale. Ma viaggiare non è questo. Contro le logiche del mercato turistico, si comincia allora a parlare di turismo lento: quasi un ossimoro, pensandoci bene, dato che da sempre il termine turismo è sinonimo di viaggio veloce o sportivo.
Ma cosa si intende per turismo lento? Con il turismo lento si vuole includere la dimensione consapevole del viaggio nella nozione stessa di turismo. Un’etica del viaggiare? Anche, ma non solo. Piuttosto, diciamo, consigli pratici per degustare meglio luoghi e persone, paesaggi e sapori, volti e profumi. Un movimento culturale, insomma, votato alla riscoperta del viaggio fatto di luoghi da vivere e non da consumare. Per questo, lento.
Il viaggiatore lento, allora, è colui che sa trovare la bellezza anche a due passi da casa, è quello che sa andare a piedi, quello che assapora il vento in faccia quando si sposta in bicicletta. Quello che diventa pellegrino, viandante, pescatore a seconda delle situazioni, quello che non rinuncia al rapporto diretto con la natura del posto in cui si trova. Quello che, in campagna o in città, in montagna o al mare, sa restare in silenzio. Quello che pratica la meditazione. Quello che passeggia per il gusto di passeggiare. Quello che scopre. Quello che assaggia. Quello che odora. Quello che all’aereo preferisce il treno, perché da lì è possibile attraversare i luoghi anche con la mente. Quello che è capace di fermarsi a contemplare.
Cosa può costituire la condizione fondamentale di tutto ciò, se non la lentezza della filosofia zen, quella del saggio che non corre mai, quella mistica dei gatti e imponente degli elefanti?
Il turismo lento viene così a coincidere con uno spirito diverso di viaggiare, nuovi modi di muoversi. Una voce fuori dal coro che boicotta la velocità, in tempi dove la lentezza è puntualmente presentata come qualcosa di marcio.
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