INLAND EMPIRE
TITOLO ORIGINALE: INLAND EMPIRE REGIA: David Lynch CON: Laura Dern, Jeremy Irons, Justin Theroux, Harry Dean Stanton, Julia Ormond, Diane Ladd USA/POLONIA/FRANCIA 2006 DURATA: 172 minuti GENERE: drammatico VOTO: n.g. DATA DI USCITA: 9 febbraio 2007
di Giancarlo Simone Destrero
Un’attrice, Nikky Grace, viene scelta dal regista Kinsley Stewart per interpretare la storia di una moglie il cui matrimonio entra in crisi per colpa di un incallito rubacuori. La situazione sembra ripetersi nella vita reale. Infatti, l’attore Devon Berk, scelto come partner professionale per Nikky, comincia ad essere fatalmente attratto da quest’ultima, anche se viene messo in allerta dal marito dell’attrice che, a sua volta, sembra essere legato in qualche modo ad un omicidio riguardante una precedente lavorazione inconclusa del film in questione…

Uno spettro si aggira nella filmografia di David Lynch: è quello del cinema, con tutti gli annessi ed i connessi. In quest’ultimo, criptico lavoro del regista statunitense la riflessione su questo ectoplasma si spinge fino al parossismo di una polidimensionalità metacinematografica.

Il punto di partenza è la lavorazione di un film nel contesto hollywoodiano: un’attrice riesce ad ottenere la parte che desiderava ed entra così nel cast dei protagonisti de “Il buio cielo del domani”, opera che in precedenza non era stato possibile terminare per la morte dei due attori principali. La sua vita privata comincia ad intrecciarsi con quella professionale in una indefinitezza che confonde i due livelli e che forma il basilare limbo per una sovrapposizione dimensionale.

Tutto il materiale umano che precede la lavorazione del film è già parte del film stesso, come fonte prodromica di un eterno fluire vitale; allo stesso modo le conseguenze del film sono già inesorabilmente avviluppate al tempo filmico del set, che a sua volta sembra essere difficilmente districabile da quello della sua diegesi.

Volendo attenersi ad una mera comprensione narrativa, questo film –come il precedente Mulholland Drive- ha una prima parte dove lo svolgimento dei fatti prosegue in maniera lineare ed ogni inquadratura, pur emanando quell’atmosfera di elegante mistero specifica del cinema di Lynch, contribuisce a creare quella catena causale di azioni e reazioni.

Ma lo svolgimento della seconda parte, o meglio di quella chiave di rottura semantica che in Mulholland Drive era rappresentata dalla scatola blu, in questo film arriva molto prima, cronometricamente parlando, che nella meravigliosa pellicola sopra citata e, da lì in poi, INLAND EMPIRE è un inquietante delirio su tutto quello che sfugge alla limitatezza spazio-temporale umana.

Ed anche alla limitata capacità di giudizio critico costretta a valutare in termini strutturali un film come questo, senza aver la chiave di accesso all’analisi logica dei procedimenti lynchani di costruzione filmica. Chissà che Lynch la abbia, eppure la sua indiscussa maestria nell’accompagnare emotivamente lo spettatore con visioni suggestive ed ipnotizzanti rende marginali i problemi della sensatezza dell’intreccio drammaturgico.

C’è, certamente, la consapevolezza di essere al limite dell’autoreferenzialità e del nonsenso razionale, ma questo né si può stabilire ad una prima visione, né può essere l’assoluta, inopinabile, discriminante per giudicare un film che è pura fascinazione visiva.


Il tempo indagato sembra essere quello dell’anima della protagonista, Nikki Grace. Un tempo interiore che coinvolge tutti gli aspetti della propria esistenza, da quello privato a quello professionale, come abbiamo detto, ma anche le varie età della propria vita o le innumerevoli possibilità femminili che offre il mistero dell’individuazione. Situazione che convergono tutte nello schermo lynchano e che sembrano legarsi contingentemente alla protagonista, ma anche alludere, in assoluto, alla possibilità universale di manifestazione umana.

Tutto questo è suffragato da diverse epoche che si ripropongono nel presente, da fantasmi – questa volta umani- che tornano ad occuparsi della stessa situazione della loro vita mortale, da esistenze che, nonostante le differenti sessualità e gli antipodi spaziali e temporali che le dividono, si interscambiano dando così un valore metafisico all’eterno ritorno della vita, nelle sue particolari individuazioni. L’elegante atmosfera onirica di Mulholland Drive –la terza citazione di questo film non è casuale, INLAND EMPIRE infatti sembra muovere spesso da quest’ultimo per ampliare quelle riflessioni- è sporcata dal digitale che rende meno nitida l’immagine e dà un risultato meno omogeneo dal punto di vista della qualità visiva.


(13/02/2007)