“Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d' oro della solarità.”
Eugenio Montale
In un vivaio incantato, cavato fuori - non so come - dai i vecchi muri di Milano, una donna parlava da sola, o per essere più precisi, parlava a una pianta…
“Adorato alberello, quanto sei magnifico oggi, dolcezza mia, senza più quegli insettacci...”
Così diceva – se la memoria non mi inganna - l’anziana al suo limone in un pallidissimo giorno di novembre. Io, schermato dai glicini, osservavo muto la scena. Prima divertito, poi turbato, poi… poi quasi quasi mi sarei messo a piangere lì, acquattato come uno scemo dietro alle frasche a pensare alla vecchietta sola… e rapita dal suo limone.
Per fortuna due cose mi hanno rapidamente risollevato l’umore. La prima considerazione è che se proprio bisogna parlare con una pianta, optare per un limone come interlocutore è un’ottima scelta. E’ bello, profumato, alto e dall’aspetto intelligente.
La seconda è che sfortunatamente l’attempata matrona, finito di parlare con il limone, ha iniziato a parlare con me. Si è rivelata l’esosissima padrona del vivaio: con piglio sgradevole ha iniziato a spararmi dei prezzi spaventosi per le sue pidocchiose piante, nemmeno fossero placcate d’oro. Dopo 30 secondi di cifre a mitraglia ogni poesia era svanita…provavo solo una poderosa avversione per quella vecchiaccia ingorda.
E pensare che io, empatico, quasi mi ero commosso! Vabbè, a pensarci, è andata meglio così: se la signora non fosse stata spiacevole sarei andato a casa con il cuore rigonfio di malinconia al pensiero di quanto è triste essere vecchi e via dicendo … invece, mentre sgattaiolavo via, ogni pietas era sparita e potevo pensare a tutt’altro, in particolare pensavo ai limoni, a quanto sono belli, utili e poetici.
Quest’alberello di origine asiatica pare sia un incrocio naturale tra il cedro e il lime e guardando i suoi frutti sembra un’ipotesi plausibile. I suoi rami sono spinosetti e i suoi frutti sono famosi in tutto il mondo.
Solitamente produce fiori in primavera e in autunno e questa doppia fioritura è cosa preziosa e magnifica in ogni giardino e terrazzo. In sovrappiù il profumo dei suoi fiori è celestiale, niente a che fare con quello dei frutti, anch’esso, peraltro, gradevolissimo.
Il valore estetico di questa pianta è molto elevato. Personalmente, qui si va sul classico, mi piace in terrazzo o in giardino, coltivata in vasi tondi di terracotta. Naturalmente una sola pianta per ogni vaso.
Mi ricorda il Gattopardo e il suo giardino, bruciato nel sole e seccato dal vento ma tuttavia incredibilmente lussureggiante: bizzarro connubio che solo i giardini del Sud sanno offrire al visitatore.
Avere un limone sul proprio terrazzo non è certo cosa originale, ma sono talmente belli che vale comunque la pena di aggiudicarsene un paio.
E ora una curiosità. Il limone, infatti, ha un altro merito che poco ha a che fare con i terrazzi: quello di aver salvato molti marinai da morte lenta e orribile per scorbuto. Questa malattia che faceva cadere i denti ai poveri uomini di mare, nel 1750 incuriosì James Lind, medico della Salisbury, nave di sua maestà britannica Giorgio II.
Questo astuto chirurgo di bordo ipotizzò che lo scorbuto fosse causato da qualche tipo di carenza alimentare; allora prese 12 marinai, li divise in coppie e iniziò a torturarne ognuna somministrandole ogni genere di porcheria: a chi squisita acqua di mare, a chi ottimo aglio misto ad aceto, a chi deliziosa senape unita a ossa di pesce… a chi, fortunelli, semplice succo di limone.
E siccome la giustizia non è di questo mondo i valorosi che si prestarono a ingollare le peggio robacce non ne ebbero alcun beneficio, mentre i fortunati a cui toccò la limonata si salvarono… allegramente sdentati questo sì, ma presumibilmente felici. Era proprio la carenza di vitamina C, di cui il limone è ricchissimo, a causare lo scorbuto.
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