“Stava dunque meditando tra sé […] se il piacere di intrecciare margherite valesse il disturbo di alzarsi e raccoglierle, quando un coniglio bianco con gli occhi rosa le passò vicino di corsa”.
Lewis Carrol, prima di approdare al Paese delle Meraviglie a noi tutti noto – o ai migliori di noi – si dilettò nello scrivere un poemetto dedicato ad una bambina a lui molto cara.
Era il 4 luglio 1862 e lo scrittore era in gita sul fiume Isis, vicino Oxford, con un amico e le sue quattro figlie. Una di questa era appunto Alice, aveva dieci anni e chiese con insistenza all’autore di scrivere una storia che la vedesse come protagonista.
A differenza del ben noto “Alice in Wonderland”, qui Alice si addormenta e sprofonda sotto terra, come cadendo in un sogno.
Lewis Carrol ci racconta che ad Alice piace far finta di essere due persone e di sembianze la bambina a cui Carrol dedica il suo manoscritto era diversa da come poi la filmografia e letteratura successive ce l’hanno tramandata: era bruna, con la frangia e la riga in mezzo.
Niente a che vedere, insomma, con la biondina della Walt Disney.
Il testo Alice Underground si divide in due parti: la prima dove è riportato il manoscritto originale in inglese con i disegni dell’autore; una seconda, in italiano, che traduce la parte precedente.
Con questo dono di natale per la piccola (e reale) Alice Liddell, Carrol vuole preservarla dal passare del tempo, la vuole mantenere per sempre bambina, rendendola immortale in una storia ambientata nel sottosuolo dove le leggi della fisica e della razionalità sono sospese.
“Dopo, quando ci ripensò, le venne in mente che avrebbe dovuto meravigliarsene, ma in quel momento le sembrava del tutto naturale”.
Invidiabile ed invidiata Alice, nel suo mondo – che sia sotto terra o nel Paese delle Meraviglie. Eppure, quante assurdità in questo suo mondo dove persone e cose della realtà vengono stravolte dalla dimensione onirica, le distanze tra le cose, le misure degli oggetti e della realtà vengono contratti o dilatati, il tempo si arrende agli eventi e non il contrario.
Un mondo a testa in giù, da qualche parte sotto l’altro mondo in cui noialtri viviamo. E, lì sotto, ci sono tutti. Tutti quelli che conosciamo e che fanno parte del reale, del mondo quello “sopra”; portati altrove, attraverso la tana di un coniglio, lungo i cunicoli di un mondo sognato da una bambina, e mostrati per quello che sono dentro, sotto le sembianze umane: uccelli, gatti, bruchi, fiori.
Il mistero del Paese delle Meraviglie è svelato: non è un mondo misterioso né magico, non è un luogo dove accadono cose impensabili. Alice è l’altra faccia della luna e, sotto la sua luce d’ombra, tutti noi siamo altri rispetto a noi stessi. Come se le persone adulte, quelle che vivono al di quà dello specchio (dove il tempo scorre in modo ordinario), avessero un’apparenza che cela un “io” interiore più autentico.
In questo io che Alice ha modo di sperimentare nel suo mondo, gli altri si spogliano di tutte le convenzioni e le etichette sociali per rimanere ciò che sono: personaggi. Burattini del teatro della fantasia.
“So chi ero quando mi sono alzata stamattina, ma penso di essere cambiata parecchie volte da allora”.
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