ITALIA 2020. ENERGIA E AMBIENTE DOPO KYOTO
L’impegno dell’Italia tradotto in una proposta reale.
di Rachele Malavasi
L’Italia è alle strette, almeno per quanto riguarda l’adeguamento al protocollo di Kyoto. È quanto è emerso durante la conferenza stampa tenutasi il 4 dicembre scorso a Roma, al Palazzo ex-Bologna del Senato della Repubblica. L’incontro, il cui titolo riprende dal libro di Paolo Degli Espinosa, “Italia 2020 – Energia e ambiente dopo Kyoto”, è stato coordinato dal giornalista de La Repubblica Franco Foresta Martin, affiancato dal Senatore Edo Ronchi, vicepresidente della Commissione Territorio, Ambiente e Beni Ambientali del Senato.

Assieme ad altri collaboratori, Degli Espinosa, direttore del Dipartimento energia dell’ISSI (Istituto Sviluppo Sostenibile Italia), espone nel libro la sua teoria su come l’Italia possa, partendo da una situazione in cui le emissioni di CO2 possono essere definite “fuori controllo” (secondo quanto affermato dal Senatore Edo Ronchi durante l’incontro), tornare all’interno dei parametri richiesti dal protocollo di Kyoto.

Sebbene infatti l’Italia si sia impegnata a ridurre entro il 2012 le emissioni di CO2 del 2% rispetto al 1990, ben pochi passi avanti sono stati fatti fin’ora.

Vuoi per colpa degli allarmisti che hanno dato la guerra persa fin dall’inizio, contro cui Ronchi si scaglia chiedendo che si facciano avanti ed espongano le proprie ragioni, vuoi per un generale ritardo tecnologico del Paese che impedisce la riqualificazione necessaria per dare il via al progetto, l’Italia sta piuttosto aumentando le proprie emissioni (solo nel 2006, dell’1% in più rispetto all’anno precedente), ponendosi a rischio di multe salate e di far uscire l’Europa dai parametri dell’accordo.

Il saggio propone quindi un dettagliato Piano d’Azione che definisce il percorso da compiere da qui al 2020 (essendo il 2012 una data ormai troppo a breve termine). Il cardine del Piano sta nell’aumento dell’efficienza energetica: a parità di consumi (ovvero senza chiedere sacrifici al consumatore), un migliore sfruttamento delle apparecchiature già esistenti ed una riorganizzazione delle quantità dei combustibili utilizzati, porterebbe ad una diminuzione nell’emissione di gas serra con la possibilità persino di aumentare le infrastrutture.

La soluzione appare talmente semplice da chiedersi come mai non sia stato fatto nulla del genere fin’ora, domanda da porre piuttosto alle lobby che gestiscono energia e petrolio, che sui maggiori rendimenti hanno solo da perdere…

Tra le altre cose, una delle novità del Piano è quello di puntare sul mercato della domanda e non su quello dell’offerta energetica. Dopo aver analizzato ogni settore di attività, Degli Espinosa ha infatti stabilito quanto “nuovo mercato” è disponibile per ciascuno di essi. In altre parole, ha stabilito per ogni attività quale sarebbe la tendenza a produrre gas serra se non si cambiasse nulla rispetto allo stato attuale. Quindi ha calcolato quale sarebbe il giusto livello di emissioni secondo Kyoto e, dalla differenza fra i due valori, ha fatto nascere il nuovo mercato energetico, un mercato che deve tendere a rendere più efficienti le strutture già esistenti in modo da colmare questa differenza.

A tal fine, si propongono quattro linee di intervento: ricorso alla cogenerazione o trigenerazione diffusa, ovvero l’ottenimento, da un unico processo, di energia elettrica e calore nel primo caso, anche acqua fredda da utilizzare nella climatizzazione estiva nell’altro, in modo da non far andare persa nessuna risorsa energetica; maggior utilizzo delle fonti rinnovabili, in particolare l’idrogeno, attraverso incentivi ed accordi a livello nazionale e non locale; modifica del mix di combustibili fossili.


Riguardo a quest’ultimo punto, Degli Espinosa ha sottolineato quanto dannoso sia il nuovo ricorso alle centrali a carbone (proposto dall’Enel al fine di ridurre la dipendenza dal petrolio). A tal proposito occorre ricordare che il VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) non considera l’emissione di gas serra, per cui diversi progetti di centrali a carbone possono essere stati approvati senza tener conto delle vere conseguenze.

Il carbone, infatti, a parità di energia elettrica produce una maggiore quantità di gas serra rispetto a petrolio e gas naturale, gli altri due combustibili fossili disponibili. Ricorrere al carbone significherebbe aumentare la quantità di gas serra da smaltire secondo Kyoto, e quindi renderebbe necessario ridurre i consumi in maniera sproporzionata per un buon rendimento economico.

Inoltre, il carbone non è adatto al processo di cogenerazione. Piuttosto, l’idea è quella di ridurre i consumi diminuendo fortemente la quantità di petrolio utilizzato, mantenere costante l’utilizzo del carbone e far recuperare al gas una parte del debito energetico che si avrebbe con la riduzione dell’uso del petrolio. Per quello che avanza, si stringe giustamente la cinghia.


Per ogni area d’attività, Espinosa espone il suo Piano: per il settore elettrico, una maggiore efficienza degli elettrodomestici e dei motori elettrici industriali, il ricorso alla cogenerazione ed alle fonti rinnovabili; per il settore dei trasporti, che assieme a quello elettrico è fra i maggiori responsabili dell’emissione di gas serra, si propone una migliore ripartizione dei passeggeri e delle merci, incremento del carico, miglioramento tecnologico degli automezzi ed incentivi per le macchine a gas; per il settore civile si punta alla riqualificazione del mercato della ristrutturazione.

Il settore industriale è quello più problematico, perché richiederebbe un rinnovamento tecnologico a cui l’Italia ancora non riesce a far fronte.
Durante l’incontro, oltre alle tematiche inerti strettamente il Piano d’Azione, sono emersi importanti spunti di riflessione: il Senatore Edo Ronchi ha sottolineato la necessità di un’azione immediata e soprattutto il ricorso ad una coordinazione nazionale, che metta assieme costruttori, sindacati, biologi e dirigenti pubblici (tema che riprende quello dell’incontro di un anno e mezzo fa fra settore scientifico e settore edilizio: “La pianificazione incontra la Conservazione”).

Dal canto suo, Franco Foresta Martin è intervenuto sottolineando come l’assenza di un’azione immediata porterebbe l’Italia, oltre che a subire gravi danni ambientali, anche a dover investire non più lo 0,5% del proprio PIL per il risanamento, ma ben il 20% circa. Il giornalista ha anche affermato la necessità di invertire la tendenza che vede aumentare il divario fra la velocità (o lentezza) di attuazione dei piani ed la variabilità dei dati scientifici, anche a causa dei repentini cambiamenti in atto. Ciò nonostante, a Nairobi è stata presa la decisione di rimandare il dibattito sulle questioni più gravi riguardanti il protocollo all’incontro che si terrà nel 2008.

In finale, sembra che una speranza per ridurre le emissioni di gas serra, almeno da parte dell’Italia, ci sia, ma è necessario un intervento tempestivo, anche considerando che questo Piano d’Azione ha l’obiettivo di tracciare le linee di un’inversione di tendenza, ma non si propone affatto come soluzione finale al problema.


(06/12/2006)