IL CARAVAGGIO RITROVATO. ESPLORANDO TRA I BINARI DELLA STAZIONE TERMINI
In mostra in anteprima mondiale a Roma la “Chiamata dei Santi Pietro e Andrea”, di proprietà della Regina d'Inghilterra, finalmente riconosciuta come originale di Caravaggio dopo trenta mesi di restauro. La tela si può visitare alla Stazione Termini, nel nuovo spazio espositivo Gate - Termini Art Gallery, nell’ambito della mostra “Caravaggio. Capolavori nelle collezioni private”. Fino al 31 Gennaio 2007
di Claudia Pecoraro
La Capitale omaggia così nuovamente il grande maestro, appena dopo la conclusione dell’altra preziosissima mostra “Caravaggio Odescalchi, le due versioni della Conversione di San Paolo a confronto” (Roma, Santa Maria del Popolo, 10-25 novembre 2006) che ha messo a confronto per la prima volta i due dipinti dal medesimo tema, entrambi commissionati per decorare la Cappella Cerasi.

Ma torniamo alla mostra della Stazione Termini. A detta della curatrice Mina Gregari, rappresenta una sfida, e soprattutto – intenzione lodevole! - un’offerta al vasto pubblico che passa per la stazione, molto più ampio della solita nicchia di studiosi e abituali frequentatori dei musei. Peccato che l’esposizione, dopo le “strombazzate” iniziali (le cerimonie inaugurali di Rutelli, Sgarbi & Co.), sia caduta nel dimenticatoio, che tra binari e biglietterie nessun cartellone pubblicitario inviti alla mostra, e che il personale della stazione non sia stato minimamente informato (provare per credere!) sull’ubicazione di questo nuovo spazio espositivo, difficilissimo da trovare e segnalato timidamente dalla insignificante scritta, già sbiadita, “Gate”.

Fulcro della mostra è il cosiddetto “Caravaggio della Regina” (nome altisonante, ma tutto serve per il battage pubblicitario) o, più propriamente “Vocazione dei Santi Pietro e Andrea”, realizzato dal Merisi intorno al 1600. Quadro attesissimo, dalla storia assai avventurosa.

La tela raffigura un Cristo giovane e femmineo che indica la strada ai due apostoli come invito a seguirlo (“Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini”). Pur fedele ai racconti del testo evangelico, l’iconografia è completamente inedita.

L’opera fa parte, insieme ad oltre ottomila quadri ad olio, della collezione reale di Sua Maestà Elisabetta. Sennonché, può capitare che un esemplare di cotanta collezione, giudicato modestamente come copia di un originale perduto, se ne stia appeso sopra un camino della Royal Gallery di Hampton Court a Londra, ad affumicarsi per 300 anni. La tela aveva subito nel corso del tempo grossolani restauri, ridipinture e gravi alterazioni dovute alla stesura di molti e spessi strati di vernice, che oscuravano quasi del tutto i colori e le forme originali. La fuliggine ha fatto il resto...

Il merito di aver smosso le acque è stato di Maurizio Marini, uno dei maggiori conoscitori italiani di Caravaggio, che nel 1996, osservando con la luce giusta il quadro sul camino, notò una cucitura sulla tela e ne fu incuriosito: “Forse l’autore aveva voluto allargare il quadro mentre lo dipingeva. Se fosse stato vero, non si trattava di una copia ma dell’originale”. Dopo un braccio di ferro con le autorità inglesi, e il determinante intervento di sir Denis Mahon (esperto caravaggesco dal fiuto infallibile, a cui la mostra è dedicata), è stata la storia a vincere: la regina ha dato il permesso e il restauro ha avuto inizio.


I restauratori inglesi hanno lavorato nel castello di Windsor per più di due anni e il risultato è stata la scoperta di segni inequivocabili della mano del maestro lombardo e quindi la consacrazione dell’opera da copia a originale, con sorpresa della maggior parte degli storici dell'arte.
Il privilegio concesso a Roma di esporre il “nuovo” Caravaggio è certamente un omaggio alla città in cui il pittore lo ha dipinto. La presentazione a Londra, insieme alle altre opere italiane restaurate della collezione reale, avverrà a Buckingham Palace (dal 30 marzo 2007) e, fra le due presentazioni, si sta cercando di portare la “Vocazione” anche a Milano.

Per celebrare come si deve la “Vocazione” ritrovata, sono stati riuniti nella stessa mostra altri rari dipinti di Michelangelo Merisi, solitamente non accessibili al grande pubblico. Si può così ammirare il realismo espressionista de “Il Cavadenti” (da Palazzo Pitti a Firenze), scena di vita quotidiana del 1600: un dentista, allora figura a metà tra il chirurgo e il barbiere, il più delle volte un impostore che imbrogliava i poveri e gli ignoranti, è alle prese col suo cliente urlante.

Da una collezione privata di Princeton arriva il “Sacrificio di Isacco”, che illustra il momento in cui l’angelo del Signore si manifesta e porta l’ariete da sostituire nel sacrificio. La luce diagonale che illumina solo chi già appartiene al mondo divino ha la stessa valenza simbolica usata nella “Vocazione”.

Il “San Giovannino alla sorgente” (da una collezione privata di Varese) ritrae, in una rappresentazione assai singolare e fortemente umanizzata, il giovane santo assetato che beve alla fonte.

Tirando le somme, dunque, le opere esposte fanno venire letteralmente la pelle d’oca. L’allestimento... qui, come al solito, casca l’asino.

Ciascuna tela è esposta in una stanza-nicchia, interamente blu. E ciò rappresenta una nota positiva dato che si dà il giusto risalto ad ogni opera (del resto, il numero esiguo dei dipinti in mostra lo consente). La vera e propria “calamità” è l’illuminazione, che qualcuno, nel registro dei commenti dei visitatori, ha giustamente definito “scandalosa”. Passi il buio, che fa tanto chic, fa concentrare sulle opere e suggestiona, ma quando il buio è talmente pesto che non rende merito ai mirabolanti effetti di luce caravaggeschi, qualcosa non va per il verso giusto. E che non si giustifichi la poca luce con il pericolo di deterioramento delle superfici pittoriche, perché da anni le più sofisticate tecniche di illuminazione non-invasive sono usate in musei e mostre di un certo calibro.

Un discorso a parte lo meritano i pannelli, o meglio - concedetemi l’italiano poco ortodosso - i “pannelloni” esplicativi delle singole tele. I testi, lo si deve riconoscere, sono scritti in modo chiaro, fluente e sono esaustivi. Il problema è la loro “impaginazione”: fiumi di parole ininterrotte, scoraggerebbero chiunque (ci si sforza di leggerli per intero, dato che, per fortuna, le opere sono solo quattro...). Ci viene in mente, allora, a noi che qualche testo di museologia lo abbiamo sfogliato, che i curatori di questa mostra non abbiano conoscenza del cosiddetto “metodo Ekarv” (pochissimo noto in Italia, applicato ormai puntualmente pressoché in tutti i musei europei e mondiali).

Il metodo (Metodo Ekarv) suggerisce delle norme da adottare nei testi esplicativi dei musei, per renderne la lettura più agevole e per permettere al visitatore di assorbire i concetti rapidamente. Esempio: suddividere i testi in piccoli paragrafi di 4-5 righi; effettuare una sintesi che condensi il significato di più parole in un concetto; sistemare la punteggiatura in modo da assecondare le pause naturali e il ritmo della lettura, etc. Al “Gate” di Termini i testi sembrano scritti appositamente al contrario di quanto suggerito dalla Ekarv, e anche in modo contrario ad ogni buon senso.


In una troppo ristretta sezione della mostra sono esposte, su pannelli luminosi, alcune delle interessantissime radiografie e riflettografie (niente paura, i procedimenti di queste moderne tecniche di indagine scientifica, anche se malamente, vengono spiegati) che hanno svelato le tipologie dei supporti dei dipinti, le modalità di stesura e di preparazione (Caravaggio non usava disegni preliminari ma procedeva direttamente sulla tela per sovrapposizioni e modifiche), certe caratteristiche dell’esecuzione (incisioni, ripensamenti), danni e alterazioni.

Al termine del percorso, in una delle stanze, è proiettata, a volume bassissimo, la pellicola del 1942 “Caravaggio, pittore maledetto”. Che c’entra?- mi chiedo interdetta. Cosa aggiunge alla mostra? È impensabile che un visitatore si sieda a vedere un film intero, che per di più non ha alcuna connessione con quanto esposto. Forse i curatori hanno pensato di offrire un sottofondo “d’epoca” gradevole alla breve pausa di riposo dei visitatori, che solo qui hanno la possibilità di sedersi (e non davanti ai quadri di Michelangelo Merisi, che alcuni di noi rimangono a contemplare per lunghissimi minuti!).

A seguire, nella stanza successiva, ecco la proiezione (di pessima qualità) di foto di scena di un altro film: “Caravaggio”, stavolta quello di Angelo Longoni. Forse era una mostra sul cinema e non ce ne siamo accorti in tempo? Forse i quadri del turbolento maestro della pittura erano solo un preambolo a questa “notevole” sezione? O, più probabilmente, i curatori hanno pensato “Abbiamo a disposizione questi materiali e ce li mettiamo”?

In un’operazione che ha previsto più di due anni di restauro, il coinvolgimento di storici dell’arte di fama mondiale, nonché quello di Her Majesty the Queen, l’organizzazione di una mostra che avrà visibilità internazionale, non hanno trovato i finanziamenti per realizzare un documentario ad hoc? Non hanno pensato a fare le riprese (costo zero!) di un’intervista a Sir Mahon, che raccontasse le avventurose vicende, vissute in prima persona, del “Caravaggio ritrovato”? Di questa e altre domande attendiamo risposta.

"Caravaggio. Capolavori nelle collezioni private"
Roma, Stazione Termini - Ala Mazzoniana (Binario 24), Gate - Termini Art Gallery
22 novembre 2006 - 31 gennaio 2007
Orario: tutti i giorni 10.00-20.00 (la biglietteria chiude un'ora prima).
Biglietto: intero 8 €; ridotto 5 €; gruppo 6 € (minimo 10 persone); scuole 3 €
Audioguida: 5 €
Prenotazione (non obbligatoria): Lottomatica 199 109 783
Visite guidate: Città Nascosta 06 3216059
Informazioni: 06 6788874

Produzione mostra: Romartificio
Curatori: sir Denis Mahon e Mina Gregori
Catalogo: “Come lavorava Caravaggio”, Viviani Editore, 19,50 €.


(29/11/2006)