Innanzitutto l’omaggio al grandissimo regista tedesco morto prematuramente nel 1982 a soli 37 anni. Rainer Werner Fassbinder nel corso della sua breve carriera è stato capace di produrre trentanove pellicole e ventuno scritti per il teatro. Una mastodontica opera omnia, soprattutto se si pensa ai soli quattordici anni di carriera, dalla quale si possono evincere le varie tematiche ricorrenti nell’arte di Fassbinder.
Sicuramente l’epicentro di tutte le sue riflessioni è la ricerca della felicità attraverso i rapporti personali, l’illusione di poterla raggiungere attraverso l’amore. Un sentimento che inevitabilmente rende succubi dell’amato. Una situazione di dominio che una delle parti in causa, colui che meno ama, sfrutta a proprio piacimento. Questo spettacolo ne è il paradigma. Tratto dall’omonima pièce teatrale di Fassbinder, il testo diventa nel 1972 un meraviglioso film. Per chi abbia la possibilità di procurarselo il consiglio è di vederlo prima di assistere a questo spettacolo. Dopo il plauso ad Antonio Latella per la scelta di riadattare, quindi, un grandissimo protagonista della cultura europea della seconda metà del novecento, passiamo allo spettacolo da lui messo in scena all’Argentina. La storia è quella di una stilista di successo, Petra, che abita in uno spazioso appartamento con la sua segretaria-domestica Marlene.
Questo personaggio, già incombente nel film di Fassbinder, diventa qui preminente. Petra è sola. Il primo marito, dal quale ha avuto una figlia, è morto in un incidente; dal secondo si è separata. Un giorno conosce Karin, una ragazza più giovane di lei presentatale da una comune amica, e se ne innamora. Petra vuol tenere la giovane tutta per sé, mentre Karin ha intenzione di sfruttare Petra e di conservare la propria indipendenza. Lo spettacolo vede in scena la presenza di un’immensa statua che riproduce Karin, e che da prima dell’ingresso delle attrici opprime e domina la situazione domestica di Petra.
Un’ossessione ingombrante che prende forma e si materializza come presenza costante, almeno fino a quando Petra, dopo essere arrivata al limite dell’umana sofferenza, riuscirà ad alleggerire sgretolando la sua ingombranza. Il personaggio di Marlene, che Fassbinder faceva intuire mostrandolo di tanto in tanto con stacchi di montaggio, viene qui reso sempre presente. Infatti, quest’ultimo, quando è sulla scena, mai smette di seguire con lo sguardo Petra, occupandosi di lei in maniera morbosa; quando invece è fuori della scena rimane sempre presente come ombra, grazie ad un’illuminazione che da dietro il palcoscenico proietta la sua sagoma sul tendone bianco che fa da sfondo costante alla rappresentazione.
La scelta che questo personaggio fa nel finale del film, è tradita da Latella. Non riuscendo ad immaginare un altro luogo dove Marlene possa vivere, egli si prende una licenza autoriale che cambia il senso del rapporto tra Petra e Marlene, con tutti gli annessi ed i connessi speculativi. Straordinaria la performance attoriale di Laura Marinoni, per una parte femminile che è una grande prova da superare e che riporta alla mente La Voce Umana di Jean Cocteau.
La scelta di forzare i caratteri dei personaggi di contorno, come la figlia Gabriele e la madre Valerie, risulta troppo artificiosa ed oltre ad acquisire una valenza espressiva, peraltro pleonastica, tende a sdrammatizzare una situazione pesante. Un meccanismo che sembra tradire un’altra volta il geniale regista tedesco, il quale non avrebbe mai concesso nulla alla parodia ed allo scioglimento della tensione drammatica. Curiosa la scelta della colonna sonora: Velvet Underground, Marlene Dietrich, Nilla pizzi, Milva.
luogo: Teatro Argentina di Roma
quando: dal 21 Novembre al 3 Dicembre, ore 21 (giovedì e domenica ore 17)
info: ufficio promozione teatro di Roma: tel 06684000346 – fax 06684000360
biglietteria: tel 06684000345(ore 10-14; 15-19, lunedì riposo), prezzi: da 10 a 26 Euro
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